venerdì 13 marzo 2020

Coronavirus e politica
Hanno vinto i sovranisti?

Sembra che  il sovranismo stia per vincere. Diciamo un sovranismo di necessità.  Virale.  Ci spieghiamo subito.
In Europa, dentro e fuori  le istituzioni Ue, la tendenza prevalente sembra essere quella di muoversi politicamente in ordine sparso.
In Germania, il paese dall'economia  più forte,  si è scelto un approccio al Coronavirus più blando, ad esempio i dati epidemici non vengono comunicati giornalmente e si è delegato ai Land il potere di intervento. Stessa cosa in Gran Bretagna. Ma anche Francia e Spagna, pur non adottando la linea tedesca e britannica e pur chiudendo scuole e università (in Spagna sembra stia per chiudere  anche il Parlamento), sembrano per ora  lontane dalla durissime  scelte  italiane.  Infine,  ancora  non si giunti alla chiusura generalizzata delle frontiere intra-Ue, ma per così dire  se ne sta discutendo. 
Si rifletta.  Siamo davanti a posizioni diverse dettate non solo dal differente numero di  casi nazionali (non alti come in Italia),  ma anche dalle differenti percezioni delle gravità del Coronavirus, dietro le quale si nascondono visioni del mondo diverse.  
Ciò  conferma, che il sovranismo - o per dirla senza giri di parole il nazionalismo -  sia la norma e  l’universalismo liberale  l’eccezione?   Chi scrive  ritiene invece  che  sia proprio il contrario.  E che quanto sta avvenendo  - ci riferiamo sempre  alle differenti opinioni e decisioni politiche in materia di Coronavirus  -  sia un caso estremo di biopolitica:   di grado zero della politica.  Insomma,  di condizioni anormali.

E nella anormalità  - vera o presunta ma “reale” nella mente umana - la politica si trasforma sempre  in biopolitica: posta davanti alle questioni della  vita o della  morte, la società,  una volta tornata al grado a zero della socialità, per così dire arcaico,  mette in moto i suoi meccanismi più rudimentali ( controlli spietati, isolamento, eliminazioni dei deboli), tendendo così  a dare  il suo peggio (paura, chiusura, intolleranza).  Il che è sempre il  portato di  situazioni estreme,  quando sono in gioco la vita e la morte,  non è mai  frutto di   una  condizione  normale della politica, la fisiologia della politica, se si vuole. Fondata sul contratto, sulla discussione, sulla libertà di commercio,  sulla tolleranza,  sulla metabolizzazione del nemico tramutato in avversario. Insomma, su procedure che, nei limiti del possibile, cercano di sostituire la scheda alla pallottola. E tutto questo  è segno di civiltà e progresso rispetto all'arcaicità del grado zero, di cui nessuno nega l'esistenza, ma  non  l'assolutezza  antropologica.  La politica non è mai celebrazione della violenza o soltanto violenza.  La politica è complessa successione di quadri antropologici differenti.    
Si pensi a un personaggio come Salvini, politico da tempi di eccezione (o presunti tali), che, in situazioni del genere sembra trovarsi perfettamente a suo agio. Non fa che ripetere che si deve chiudere tutto, dentro e fuori d’Italia. Più o meno come prima: ieri gli immigrati oggi il Coronavirus.  Quale prova migliore, della natura patologica del sovranismo, che non è altro che nazionalismo dolcificato?  Incapace di distinguere tra dei, uomini e bestie? Insomma, come dicevamo, di scegliere prudentemente  tra i diversi quadri antropologici? 
Sotto questo aspetto la scelta  sovranista (o quasi dell’Italia), che vede il moltiplicarsi  (ieri addirittura Mattarella)  delle polemiche anti-Ue,  non  può che rafforzare un approccio patologico alla politica di tipo nazionalista e favorire, direttamente o indirettamente,  soluzioni  politiche  alla  Salvini.
Il problema non è tanto il fatto che in Europa ognuno vada per sé, ma che i diversi stati  vi siano costretti  dalla natura limite delle decisioni che devono essere  prese.  Di natura biopolitica. Un fatto che  non costituisce  - ripetiamo -  la condizione normale della politica. Ma eccezionale. Come per l'appunto  il nazionalismo.  
E chi si trova in full  position in una situazione del genere?  Salvini.  La cui politica  non è  patologica per caso. Anzi lo è sempre. Con o senza Coronavirus. 

Carlo Gambescia