domenica 22 marzo 2020

Conte chiude tutto
Decrescita infelice

Conte  non ragiona più.  E neppure coloro che lo sostengono a destra e sinistra. Se problema grave c’è, e solo per alcuna fasce anziane di popolazione, riguarda la Lombardia. Nel resto dell’Italia il decorso dell’epidemia è lento o comunque non pandemico. E  soprattutto non si è raggiunto nel Centro-Sud alcun disastroso picco, come invece evocavano gli sciamani statistici della burocrazia sanitaria.  
Una burocrazia dell'anima che ragiona  in modo settoriale e impolitico, come se l'Italia fosse un'unica struttura ospedaliera da isolare senza badare alle  conseguenze economiche, sociali e politiche delle gravissime misure prese finora, che tra l'altro per Milano, sembrano non funzionare.  Una burocrazia al cui cappio Conte, privo anch'egli,  di qualsiasi preparazione politica, soprattutto quando ammette di "dover fare" ciò che gli dicono "gli scienziati",  sta impiccando l'intera Italia. Classico atteggiamento stupidocratico. Perché gli stupidi sono presuntuosi, non imparano dagli errori, e così perserverano. Se poi sono al comando...  

A proposito di statistiche e Coronavirus invitiamo i lettori a scaricare (gratuitamente) domani  il numero 4  di “Linea” (settimanale) che contiene interessanti riflessioni  in argomento corredate di tavole, a cura di Carlo Pompei (http://linea.altervista.org/blog/).

Ecco l’ultimo  messaggio  di  Conte agli italiani. A breve - purtroppo -  seguirà un nuovo   decreto.   

«"Oggi abbiamo deciso di compiere un altro passo. La decisione del governo è chiudere nell'intero territorio nazionale ogni attività produttiva che non sia strettamente necessaria, cruciale, indispensabile a garantire beni e servizi essenziali". Sono le parole del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

"Le nuove misure restrittive annunciate sono valide fino al 3 aprile.  Abbiamo deciso di chiudere in tutta Italia ogni attività produttiva che non sia cruciale, indispensabile, a garantirci beni e servizi essenziali" ha spiegato Conte. "Continueranno a venire assicurati i servizi bancari, postali, assicurativi e finanziari" ha anche detto.

"Mai come ora la nostra comunità deve stringersi forte come una catena a protezione del bene più importante, la vita. Se dovesse cedere un solo anello questa catena saremmo esposti a pericoli più grandi, per tutti. Quelle rinunce che oggi ci sembrano un passo indietro domani ci consentiranno di prendere la rincorsa". ha concluso il presidente del Consiglio».

Chi scrive non si stringe forte a nessuno. Rifiuto netto. Gli italiani istupiditi dalla paura, vivono nelle maglie di un conformismo dettato da un’emergenza che, se tale,   riguarda solo una regione: larga parte dei morti di ieri  (quasi due terzi: 546 su 793) rimanda alla Lombardia. Ma purtroppo non si ragiona più...  Né si può solidarizzare con un Governo impolitico e incapace, legato mani e piedi alla burocrazia dell’Oms e italiana. Inciso: anche  l’Opposizione non è da meno. Anzi  è peggio: perché ai medici Salvini e Meloni sostituirebbe i colonnelli.   
Si chieda a un economista serio, non da talk show filogovernativo a gettone,  come i tanti, i troppi di questi giorni,  quali sono i settori “non  strettamente necessari” di un’economia.  Non esistono. Ogni bene ha un suo indotto, e ogni indotto  rinvia ad altre filiere. L’economia è come una rete,  dovunque la si tocchi, le vibrazioni si trasmettono  via reticolo all’intero sistema, per poi tornare indietro, e così via.  Non esistono piccoli ma solo grandi danni. Soprattutto quando si intromette lo stato.

Andiamo sul tecnico. Ad esempio, le macchine utensili e i pezzi di macchine utensili, che servono per produrre macchine che a loro volta producono altri beni, diversissimi tra loro sono necessarie o no?   Il punto non è secondario, perché riguarda un indotto di migliaia di imprese, soprattutto nel Nord Italia.  Il problema non  è diminuire la produzione di  vetri  o di tappi ma di evitare la ripercussione sul settore che produce macchine utensili per tutti gli altri settori. Dopo la Prima guerra mondiale, per riconvertire, l’industria militarizzata in industria civile ci vollero anni. Una vera e propria "laicizzazione" avvenne soltanto  nel  Secondo dopoguerra. Quindi figurarsi... Insomma, sono problemi giganteschi e soprattutto  si intersecano con altri problemi di linea produttiva. Quindi non si può distinguere  ciò che "è strettamente necessario" da ciò che non lo è.   Tradotto:  un blocco o rallentamento  prolungato  provocherebbe una cronica mancanza di pezzi di ricambio a tutti i livelli. Con ripercussioni gravissime sull’industria di base (ad esempio dell’energia) e sulla vita civile (si pensi solo  ai trasporti), ripercussioni che si protrarrebbero ben oltre la crisi.  
E questo è solo un problema, tra i tanti che potrebbe sorgere da quella che si può definire la decrescita infelice imposta  a un’ Italia che ha rinunciato all’uso della ragione.

Carlo Gambescia