martedì 17 marzo 2020

Il Coronavirus, la società e l’albero di Natale…
Non spegnete le “lucine”


Una "lezioncina" di sociologia
Il Coronavirus può essere  l’occasione per una “lezioncina” di sociologia sul funzionamento delle società.
In tempi normali ( nell’ assenza di emergenze di ogni tipo: guerre, rivoluzioni, calamità naturali, epidemie) ad esclusione dei regimi politici dittatoriali, gli individui trascorrono la propria vita  secondo schemi abitudinari, che mutano  storicamente.  La libertà degli antichi era profondamente  diversa da quelli dei moderni. Per non parlare di epoche, come il medioevo,  dove la libertà stessa veniva considerata un privilegio, legata al ceto di appartenenza.

Poesia e prosa
Diciamo che l’idea di libertà, nelle sue diverse articolazioni, storicamente e sociologicamente parlando, rappresenta la poesia sociale, mentre l’organizzazione sociale, la prosa. Sotto questo aspetto l’intera storia umana  - la prosa - potrebbe essere ricondotta a una lunga  sequenza di  forme  organizzative, spontanee e coercitive.  Di qui lo scontro tra poesia e prosa.  
Naturalmente del  conflitto,   la gente comune -  l’uomo medio dei sociologi -  nei tempi normali non si accorge affatto:  le società si sviluppano per vie naturali, non conoscono fini generali, gli uomini vivono perseguendo i propri interessi, condividendo abitudini, lentamente condivise (che nascono da  interessi che danno ottima prova evolutiva), e di conseguenza accettano  o rifiutano i limiti imposti dagli interessi organizzati: l’altro aspetto coercitivo della prosa sociale. Come il "borghese gentiluomo" di Molière, gli uomini  parlano  in prosa senza saperlo. 


Le lucine dell’albero di Natale
Il  termine interesse  ha qui  il valore neutro di finalità, scopo, motivo per l’azione. E gli interessi sono sempre individuali ed è difficile prevedere dove condurrà la sommatoria  (se di sommatoria si tratta) degli interessi individuali. L’eterogenesi dei fini (si vuole una cosa se ne ottiene un’altra) è una verità sociologica, che  si vendica sempre della cosiddetta ipotesi costruttivista che crede, come molti poeti sociali,  nella possibilità di costruire le società dall’alto secondo un’ipotesi di bene comune, imposta sempre dall’alto.  In nome dunque della poesia…   

Sulla società, quale dinamica degli interessi individuali,  l’ "emergenza", che porta sempre con sé interventi dall'alto, può provocare, secondo una scansione scalare,   prima un rallentamento, poi un cedimento, infine lo spegnimento del libero agire individuale: si pensi a un alberello di Natale dalle molteplici lucine sociali, rappresentate dagli interessi individuali: lucine che, una volta spentesi tutte,  lasciano spazio a uomini che procedono a tentoni, tesi solo sopravvivere.   E per sopravvivere, interesse primario e fondamentale, l’uomo è disposto a tutto, anche a farsi schiavizzare.  In  argomento il mito platonico della caverna resta un esempio sociologico fondamentale: alle lucine  dell’albero di Natale si sostituiscono le ombre…

Sul bene comune
Un' "emergenza" come il Coronavirus (o meglio la risposta dello stato al Coronavirus, come massima aggregazione di interessi coercitivi e burocratici) sta spegnendo a una  a una, le “lucine”.   Si dice per il bene comune.  Ma il bene comune, se ne esiste uno, è proprio nel lasciare che le società si sviluppino spontaneamente trovando, senza perseguirlo direttamente,  il proprio  equilibrio storico e sociale, grazie  al libero perseguimento degli interessi individuali. Bisogna lasciare spazio alla prosa dello spontaneismo sociale, ossia all’individuo libero di perseguire i propri interessi.  Si tratta di una realtà  comprovata:  nessuno mai si è seduto a tavolino e progettato l’Impero romano, il feudalismo, il capitalismo. Solo per fare tre esempi classici.  
Però, un’epidemia, come si sente ripetere in questi giorni, può cancellare la società, colpendo gli individui e riducendo quindi a un  valore  pari a zero la possibilità di trovare  un equilibrio storico e sociale…   Il che può essere vero, però è altrettanto vero, che i meccanismi di autodifesa istituzionale possono per un verso salvare l’individuo, ma per l’altro ridurlo in stato di schiavitù. E anche questa è prosa, nel senso che sono cose, che possono piacere o meno, ma che regolarmente accadono. Tuttavia si tratta di prosa pericolosa, perché  imbevuta di poesia sociale, che non bada agli effetti perversi delle azioni sociali imposte dall'altro. Tradotto: si vuole il bene si consegue il male.

     
“Tempi bui”
Di solito si dice pure che si tratta di schiavitù temporanea per il bene dell’uomo. E qui purtroppo, come anticipato,  si entra nello scivoloso campo della “poesia”, dell’ideologia giustificativa dell’ autodifesa istituzionale, in questo caso della macro-istituzione rappresentata dallo stato che oppone all’equilibrio naturale degli interessi (la prosa spontanea),  l’equilibrio artificiale, (la prosa coercitiva),  impregnata però di poesia,  declamata dalla massima  tra le macro-istituzioni: lo stato costruttivista. Che, ufficialmente, come ogni poeta vive di arte e di amore, mentre in realtà, oltre un certo limite, difficile da accertare, con il suo agire,  incatena l’uomo ai ceppi della famigerata caverna platonica.  
Concludendo, una volta spente le lucine dell’albero,  sopravviene il buio, per anni, decenni, secoli. Come si intuisce non è possibile quantificare la durata dei “tempi bui”. Certo, come  già avvenuto si possono sempre declamare  ai popoli  poesie, magari per secoli…   

Carlo Gambescia