domenica 29 marzo 2020

Coronavirus e “ordine pubblico”
Italia in rivolta?  
Per ora, no


Oggi la stampa italiana,  (non solo "Libero"),  alzando troppo il tiro, ipotizza  rivolte sociali. Sul piano delle ipotesi sociologiche e politologiche, ovviamente,  nulla può essere escluso. Però al momento non crediamo possibile alcuna voice (protesta*) generalizzata.
Segnaliamo qui di seguito le  variabili  che sconsigliano, ripetiamo per ora,  di ritenere imminente uno dei fenomeni politici, come vedremo, meno inquadrabili  sotto il profilo delle previsioni: la rivolta sociale.         
Le persone  sono  costrette tra le mura domestiche; minacciate e blandite al tempo stesso mediante una fortissima pressione mediatica;  il consenso nei riguardi del Governo (e per Giuseppe  Conte)  resta altissimo ( i sondaggi parlano di un gradimento al settanta per cento); i rifornimenti di cibo sono costanti; il Governo ha varato un serie di importanti misure assistenziali.  La lealtà (loyalty) per ora sembra garantita.
Inoltre, cosa più importante,  a differenza della casistica classica delle rivolte (parlare per ora di rivoluzione, exit, sarebbe ridicolo), manca, al momento,  un  elemento fondamentale: quello della possibilità organizzativa di  appropriazione  fisica e del successivo controllo  dei luoghi tipici  della rivolta (piazze, strade, sedi del potere, anche di polizia, incluse le caserme,  distaccate e centrali, infine radio e televisione, specialmente se pubbliche). È certamente  vero che i Social hanno un  potere mobilitante,  ma oltre al fatto che sembrano molto divisi sulla questione del consenso politico,  una rivolta non è un flash mob pacifico. Si rifletta su un punto non secondario:  il profilo psico-sociale del  ribelle ( o del rivoltoso)  implica automaticamente  l’accettazione del rischio della vita  e del carcere.  Di regola, quanto più un sistema di controllo riesce a essere “persuasivo” ( o sembrare tale),  tanto più diminuisce il numero del soggetti a rischio voice
La società  è  conservatrice per  eccellenza, di conseguenza nei suoi membri   tende sempre a  prevalere  la loyalty (lealtà) verso il sistema, identificato  con le proprie  - individuali -  garanzie di vita, normalità e  successo.  Soprattutto nelle società di ceti medi come le nostre.

Naturalmente, quando e  se la scelta nel soggetto a rischio (il possibile rivoltoso)  si riduce alla pura  opzione biopolitica  radicale  tra  vita e morte (nel caso: morte per fame o di Coronavirus) le possibilità di voice crescono (ma come poi vedremo non sono esclusi altri tipi di risposta): non dominano più il ragionamento e il calcolo costi-benefici, ma prevale l’istinto di autoconservazione, che può assumere l’aspetto del movimento collettivo di massa, organizzato o meno:  la voice  allora si trasforma in exit, (in uscita dal sistema) che, in alcuni casi,   rimanda alle prove tecniche di rivoluzione:  tecniche nel senso che le rivoluzioni,  dal lato della domanda politica, rinviano al coagulo organizzato di  rivolte successive e permanenti, sempre più unificate politicamente, mentre  da quello dell’offerta politica  la rivoluzione rimanda  al tracollo delle istituzioni e al conseguente  passaggio di figure chiave  politiche  del governo (e dei quadri dipendenti) nelle fila  dei rivoluzionari. Una rivoluzione impone sempre una progressiva crisi del lealismo. Della loyalty.
Come si può intuire, per l’Italia, al momento non si può parlare né di rivolta generalizzata (voice), né tantomeno  di rivoluzione (exit).  Ovviamente, quanto più  le variabili  ricordate all'inizio  vengono meno, tanto più aumentano le possibilità di voice.  Purtroppo la capacità di resistenza delle persone alla costrizione fisica,  come quella imposta  dalle  misure antiCoronavirus,  non  è  misurabile, né esistono precedenti di un tale livello di segregazione, se non di natura bellica, che però risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, precedenti   che sembrano - attenzione: sembrano -  deporre a favore di un notevole spirito di resilienza delle popolazioni.
Come dicevamo, se e quando la scelta si fa radicale, tra   vita e   morte,  e di conseguenza il comportamento degli individui si fa auto-conservativo,  viene meno la  possibilità  previsionale dello scienziato sociale, perché l’istinto di  autoconservazione,  non rimandando al calcolo costi-benefici, ma a scelte passionali, non razionali (o se razionali, rispetto a passioni immisurabili scientificamente), può sfociare sia  in un atteggiamento di  loyalty,  sia  di voice,  sia (se ci sono le condizioni politiche) di exit. Tutti comportamenti difficili da prevedere, perché  in linea teorica tutti compatibili  con la reazione auto-conservativa.
Detto ciò,  il lettore prenda però appunto di queste due parole: per ora.
   
Carlo Gambescia                 
 

(*) Loyalty, Exit, Voice.  Riprendiamo e sviluppiamo  le tesi  di  A.O, Hirschman, Lealtà Defezione Protesta. Rimedi alla crisi delle imprese dei partiti e dello stato, Bompiani 1982.