domenica 1 marzo 2020

Coronavirus e Facebook
Liberali sì,  ma con juicio


Ieri  - la cosa  può  anche sembrare comica… -   ho dovuto togliere l’ “amicizia” ad alcuni “amici” di Fb. La ragione è molto semplice: non accettavo e accetto  che sulla mia Pagina  si moltiplichi la confusione, già enorme sul Coronavirus,  accrescendo la condizione di psicosi che sta devastando  l’Italia.
Di conseguenza, mi sono beccato in privato  dell’arrogante e, seppure velatamente, del fascista che avrebbe cambiato bandiera, rimanendo  tale.  Ma quando mai sono stato fascista… E per giunta si tratta  di gente  che non mi conosce personalmente e  che  non ha letto i miei libri.  O se li ha letti ha travisato. Insomma,  Carlo Gambescia  come "nemico del popolo".  Ma non è questo il punto. Non mi devo giustificare con nessuno. Tantomeno con gli sconosciuti.
Cosa sta succedendo? Che il cosiddetto dibattito sul Coronavirus, si sta spostando dalla “gravità” del virus, che i fatti smentiscono, alla “necessarie”  misure, anch’esse strampalate,  che si dovrebbero prendere per curare bene i malati, evitando di danneggiare  chi soffra di altre patologie.  Addirittura ho letto, che  il “sistema” liberale e capitalistico (non sia mai…) tenderebbe   a sfruttare l' epidemia per liberarsi  dei più deboli, vecchi e malati. Stupidaggini catto-comuniste e complottiste, alle quali molti però credono: così al panico da nuova peste rischia di  aggiungersi  il panico da non essere curati bene.
Ovviamente, certe tesi, sulla mia pagina Fb, sotto forma di commenti o link,  non vedranno mai luce. Proprio per evitare che, anche il sottoscritto,  favorisca la diffusione di un effetto panico che, a differenza del Coronavirus,  sembra  più difficile da tenere sotto controllo. 
E qui è scattata subito nei miei riguardi, il classico mantra -  poi da parte di tradizionalisti, fascisti, comunisti, eccetera ( tutti nemici giurati  del liberalismo) -  di non essere un vero liberale, perché un vero liberale non  rifiuterebbe mai  il dibattito, eccetera, eccetera.  
Voglio replicare sul punto, e non per ragioni personali (perché non ho nulla da rimproverarmi), ma per spiegare a questi signori che il liberalismo  non è una specie di passaporto o carta di identità “discutidora” (come sosteneva un altro “amico” del liberalismo) per l’anarchismo sociale. Basterebbe aver letto autori  liberali come  Burke, Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega, De Jouvenel, Röpke, Aron, Berlin per capire che c’è il momento della discussione e quello della decisione.  E che  i due momenti presuppongono, sociologicamente parlando, l’etica weberiana della responsabilità. Come dire? Liberali sì, ma con juicio. Si potrebbe parlare di un liberalismo triste, perché politicamente realista. Archico, politico insomma.

Ora,   se  la libertà di discussione, viene  elevata, come una specie di scudo,   fino all’ etica, sempre weberiana, dei principi,  il rischio è quello  di far prevalere la discussione sulla decisione. O peggio ancora di far  assumere decisioni politiche sull’onda di emozioni, scaturite da un dibattito dominato dall'isterismo, soprattutto se e quando  al potere si ritrovi  una classe politica capace di  governare soltanto attraverso lo strumento demagogico.
Ed è quello che sta accadendo in Italia, dove tutta l’impostazione della politica pubblica sul Coronavirus, risente di decisioni improvvide  prese  sulla scia del panico politico e sociale.  Il che implica  gravi conseguenze sociologiche (per l’impossibilità di fare marcia indietro per la forza di gravità sociale che distingue fenomeni di panico) e politiche  (per il timore di perdere consensi, in soldoni le elezioni, timore anch’esso di rilevante forza propria sociale).  
Il lettore - almeno  quello   di buona volontà -  ora finalmente avrà capito  il perché della nostra, per così dire, linea editoriale: mai contribuire alla diffusione di un approccio sociologicamente sbagliato al Coronavirus,  capace di  provocare  solo  panico e decisioni emotive. 
Che cosa si doveva fare  allora? Di sicuro, non rilanciare segnali sbagliati e isterici, come sospensioni  dei voli, zone rosse, chiusure uffici pubblici,  eccetera. Si doveva monitorare la situazione in modo soft, senza ricorrere a misure estreme, come è avvenuto,   evocando per giunta   a giustificazione, come ogni buon stato dittatoriale o semidittatoriale,  l'ineffabile  principio di precauzione, per cautelarsi esclusivamente  dalla possibile  perdita di consensi  politici…
Qui si dovrebbe aprire un capitolo sul rapporto tra liberalismo politico,  impopolarità e democrazia. La democrazia si  fonda sul consenso, il liberalismo sulla ragione. La ragione spesso è impopolare, la democrazia non può esserlo mai, purtroppo.  Più si è democratici, meno si è liberali, e viceversa.
Il che  implica inevitabilmente la fuga, per i “democratici” al governo, da qualsiasi decisione impopolare. Con un correttivo, tutto italiano però. Da noi è storicamente impopolare chiunque rifiuti la dottrina dell’interventismo statale… L’Italia è ferma da secoli, purtroppo, al  patriarcalismo politico della chiesa cattolica e dei regimi  assolutisti, talvolta  illuminati, ma assolutisti.  Con una differenza. che oggi al posto del  principe, come sovrano  c’è il “popolo”, soprattutto  dopo  la cosiddetta  "svolta populista”degli ultimi anni.   Si rifletta: Nel 2003, quando i populisti non erano ancora al potere, la  Sars, probabilmente più seria del Coronavirus,  venne affrontata in modo soft…  Quando si dice il caso…
Concludendo, lettore avvisato, mezzo salvato. Buona domenica a tutti. 

Carlo Gambescia