L' Iraq al voto
La democrazia
parlamentare e i suoi amici
Il 70 per cento degli iracheni ha votato. La stampa ha
trasformato il fatto in evento. Ovviamente per i giornali favorevoli alla
politica di Bush l'alta affluenza alle urne comproverebbe il successo della
strategia americana, per quelli contrari, solo stanchezza e voglia di
"normalità" a ogni costo. Ma (ecco il dato interessante), per tutti i
giornali l'alta percentuale di votanti rappresenta comunque un segno di
adesione alla democrazia parlamentare di tipo occidentale.
Resta però incomprensibile, come si possa sostenere una
tesi del genere, per un paese che non ha mai conosciuto la città-stato greca,
il diritto privato romano, il cristianesimo, il libero comune, le carte dei
diritti, e che ha scoperto lo stato-nazione, ma nella versione
socialista-nazionale, solo con Saddam.
Certo i media hanno la vista corta e comunque interessi
(pro o contro) da difendere, ma resta difficile spiegare l'acquiescenza
pressoché totale, a una tesi del genere. A meno che non si riconosca il peso di
una mentalità di tipo colonialistico, che continua a far vittime a destra come
a sinistra.
La democrazia, e soprattutto quella parlamentare, è un
prodotto storico dell'Occidente. E' frutto di una precisa tradizione storica e
di una mentalità socioculturale che non ha eguali altrove. Ciò non significa
che sia la migliore, ma che richiede precise condizioni storiche, culturali,
sociali ed economiche. E soprattutto che non va mai "imposta" con le
armi.
Pertanto sull'Iraq sarebbe meglio non farsi troppe
illusioni, anche perché si tratta di una democrazia parlamentare introdotta
dall'alto e sulla punta delle baionette. Non è il caso neppure di fare
raffronti con la rivoluzione kemalista in Turchia, che tra l'altro sfociò in
dittatura militare, frutto di una rivoluzione interna, e che comunque si
rivolgeva e rappresentava interessi militari ed economici "nazionali"
(gli alti quadri militari e i ceti economici emergenti). In Iraq l'esercito è
stato completamente ricostituito, e "snazionalizzato", e dunque non
può essere portatore di alcun interesse collettivo. Quanto alla borghesia
irachena, saranno necessarie almeno due generazioni, perché possa riprendersi
dallo shock di un conflitto disastroso (iniziato nel 1991). E in ogni caso,
visto il peso che sta assumendo il capitale straniero in campo petrolifero,
rischia di trasformarsi in borghesia "compradora" e parassita.
Quanto al popolo che avrebbe "votato in massa",
si tratta di una reazione di sostegno passivo, ma sempre revocabile, al
processo politico in corso. La popolazione è praticamente priva di tutto e vive
la guerra civile in una condizione di paura. Di qui l'adesione passiva, non
tanto ai principi delle democrazia parlamentare, quanto a una promessa di
normalità.
Pertanto la stampa anti-Bush ha in parte ragione, ma sarà
molto difficile trasformare, la paura in consenso ragionato, e il consenso
ragionato nella scelta democratica del cittadino "equilibrato e
informato", celebrato dalla politologia liberale. In primo luogo per le
ragioni storiche di cui sopra, e in secondo luogo, perché se la guerra civile
in atto dovesse inasprirsi, anche a causa di un eventuale conflitto Usa-Iran,
il ritorno alla "normalità" diventerebbe impossibile.
Di più: le aspettative di "pace" tradite
potrebbero trasformarsi in boomerang per le autorità politiche locali e i paesi
occidentali che le appoggiano con le armi.
E il passo "indietro" dalla democrazia
parlamentare al terrorismo generalizzato sarebbe brevissimo.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento