Capitalismo per atei non devoti
Il ciclone giudiziario che sta travolgendo Fazio,
Fiorani, Consorte e altri banchieri e finanzieri merita qualche riflessione
sulla presunta mancanza di un'etica "negli" affari. Secondo alcuni
osservatori gli scandali che segnano il capitalismo attuale, e non solo quello
italiano, sarebbero causati da una mancanza di "etica
imprenditoriale".
Purtroppo il punto è che nessuno spiega in modo
convincente il perché di questo vuoto. Di solito, come nel caso del giurista
Guido Rossi, ci si appella all'assenza di "regole" senza spiegare
però che le "regole" non nascono come per incanto ma sono un
"prodotto" socioculturale, che richiede spesso il lavoro di due o tre
generazioni e ferme credenze nei valori assoluti. E non il puro e semplice
intervento, magari "illuminato" o punitivo, di parlamenti e
magistrati.
Ora, se c' è un dato sicuro, è che oggi il capitalismo si
sviluppa in una specie di vuoto morale e religioso (nel senso di un ancoraggio
"alto", trascendente, della responsabilità imprenditoriale, come nel
"protocapitalista" di origine calviniste, studiato da Max Weber). Si
tratta di un capitalismo per atei non devoti, per parafrasare un giochino di
parole molto in voga. E se questo accade negli Stati Uniti e in Gran Bretagna,
figurarsi in paesi dalle tradizioni cattoliche, e quindi meno rigoriste, come
appunto l'Italia.
Si tratta di un fenomeno che può essere fatto risalire
alla nascita dell'economia mista e della società per azioni (quindi grosso modo
alla prima metà del Novecento): il sostegno dello stato e la parcellizzazione
del potere all'interno della grande impresa favorirono l'irresponsabilità
diffusa. Al grande capitano d'industria si sostituirono tecnocrati (pubblici e
privati) e ristretti gruppi di azionisti affamati di profitti.
Questo fenomeno si è accentuato, dopo essersi sviluppato
come in una serra calda all'interno del capitalismo pubblico-privato (anni
Cinquanta-Settanta), con l'arrivo della globalizzazione e delle privatizzazioni
(anni Ottanta-Novanta), accolte entrambe come strumenti per realizzare a breve
altissimi profitti. In un quadro socioculturale ovviamente segnato da un
materialismo e un individualismo sempre più volgari. E all'insegna, per quello
che riguarda le responsabilità, del tutto è permesso, visto che dio (nel senso
sopra indicato) non esiste ...
Sotto questo aspetto, le stesse privatizzazioni, invece
di favorire il ritorno alla responsabilità imprenditoriale, hanno creato una
specie di zona franca, dove tecnocrati pubblici e privati, riciclandosi, hanno
lucrato a spese sia del pubblico che del privato. E in questo contesto, un
ruolo essenziale, soprattutto in Italia, è stato giocato dalle banche e imprese
pubbliche privatizzate, che sono diventate la preda più ambita delle seconde
file della managerialità pubblico-privata: i Cragnotti, i Fiorani, Consorte,
eccetera, subito entrati in conflitto, con le prime file, il cosiddetto ex
salotto buono (Mediobanca e dintorni) . E la guerra è ancora in corso.
Il vuoto morale indubbiamente indica una situazione di
crisi. Al capitalismo "eroico" dell'Otto-Novecento e a quello
"assistito" del Novecento, si va sempre più sostituendo il
capitalismo irresponsabile: degli atei non devoti.
Difficile dire quando, dove e come finirà la corsa del capitalismo, come dire, a responsabilità limitata... Ma finirà.
Carlo Gambescia
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