venerdì 16 dicembre 2005

Capitalismo per atei non devoti




Il ciclone giudiziario che sta travolgendo Fazio, Fiorani, Consorte e altri banchieri e finanzieri merita qualche riflessione sulla presunta mancanza di un'etica "negli" affari. Secondo alcuni osservatori gli scandali che segnano il capitalismo attuale, e non solo quello italiano, sarebbero causati da una mancanza di "etica imprenditoriale".
Purtroppo il punto è che nessuno spiega in modo convincente il perché di questo vuoto. Di solito, come nel caso del giurista Guido Rossi, ci si appella all'assenza di "regole" senza spiegare però che le "regole" non nascono come per incanto ma sono un "prodotto" socioculturale, che richiede spesso il lavoro di due o tre generazioni e ferme credenze nei valori assoluti. E non il puro e semplice intervento, magari "illuminato" o punitivo, di parlamenti e magistrati.
Ora, se c' è un dato sicuro, è che oggi il capitalismo si sviluppa in una specie di vuoto morale e religioso (nel senso di un ancoraggio "alto", trascendente, della responsabilità imprenditoriale, come nel "protocapitalista" di origine calviniste, studiato da Max Weber). Si tratta di un capitalismo per atei non devoti, per parafrasare un giochino di parole molto in voga. E se questo accade negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, figurarsi in paesi dalle tradizioni cattoliche, e quindi meno rigoriste, come appunto l'Italia.
Si tratta di un fenomeno che può essere fatto risalire alla nascita dell'economia mista e della società per azioni (quindi grosso modo alla prima metà del Novecento): il sostegno dello stato e la parcellizzazione del potere all'interno della grande impresa favorirono l'irresponsabilità diffusa. Al grande capitano d'industria si sostituirono tecnocrati (pubblici e privati) e ristretti gruppi di azionisti affamati di profitti.
Questo fenomeno si è accentuato, dopo essersi sviluppato come in una serra calda all'interno del capitalismo pubblico-privato (anni Cinquanta-Settanta), con l'arrivo della globalizzazione e delle privatizzazioni (anni Ottanta-Novanta), accolte entrambe come strumenti per realizzare a breve altissimi profitti. In un quadro socioculturale ovviamente segnato da un materialismo e un individualismo sempre più volgari. E all'insegna, per quello che riguarda le responsabilità, del tutto è permesso, visto che dio (nel senso sopra indicato) non esiste ...
Sotto questo aspetto, le stesse privatizzazioni, invece di favorire il ritorno alla responsabilità imprenditoriale, hanno creato una specie di zona franca, dove tecnocrati pubblici e privati, riciclandosi, hanno lucrato a spese sia del pubblico che del privato. E in questo contesto, un ruolo essenziale, soprattutto in Italia, è stato giocato dalle banche e imprese pubbliche privatizzate, che sono diventate la preda più ambita delle seconde file della managerialità pubblico-privata: i Cragnotti, i Fiorani, Consorte, eccetera, subito entrati in conflitto, con le prime file, il cosiddetto ex salotto buono (Mediobanca e dintorni) . E la guerra è ancora in corso.
Il vuoto morale indubbiamente indica una situazione di crisi. Al capitalismo "eroico" dell'Otto-Novecento e a quello "assistito" del Novecento, si va sempre più sostituendo il capitalismo irresponsabile: degli atei non devoti.
Difficile dire quando, dove e come finirà la  corsa del capitalismo, come dire,  a responsabilità limitata... Ma finirà. 

Carlo Gambescia

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