Jean Baudrillard e la concezione
"macchinale" della società
Le intuizioni di Jean Baudrillard hanno sicuramente
rappresentato per almeno due generazioni di sociologi un costante punto di
riferimento. Pioniere dell'antieconomicismo, acuto indagatore della sociologia
dei consumi, sottile interprete delle più complicate forme simboliche di
rappresentazione sociale.
Negli ultimi anni, tuttavia, come capita talvolta anche
ai grandi, il suo pensiero si è fatto meno creativo, alle ottime sintesi degli
anni Settanta-Ottanta del Novecento, sono seguiti interventi più saggistici,
alcuni brucianti, si pensi a quello sull'America, altri meno originali, come
gli scritti sull'immaginario postmoderno, e sui media in particolare.
Purtroppo, il punto è che i limiti di Baudrillard (certo,
si parla dei limiti di un pensatore comunque importante) sono insiti, e da
sempre, nel suo approccio, come dire, "macchinale" alla società:
Baudrillard, non si è infatti mai stancato di ripetere che la società è una
vera e propria macchina che attraverso i suoi simboli, dipendenti da precisi
rapporti di produzione, fagocita gli uomini, trasformandoli in automi che
obbediscono a simulacri: a rappresentazioni di rappresentazioni...
Ora questo approccio, che può valere (ma non del tutto) per
lo studio della società contemporanea, non può sicuramente essere utilizzato
per quello della società in genere, che non è una macchina, ma frutto di un
delicato equilibrio interattivo tra cultura, istituzioni e uomini. La società
non "produce" uomini: condiziona, ma non determina mai il
comportamento umano, come del resto mostra la storia umana.
Sotto questo aspetto Baudrillard dice troppo, perché
costruisce e offre un modello generale di società, benché non lo ammetta mai
esplicitamente (nascondendosi dietro la labile cesura moderno-premoderno), e
poco, perché questo modello generale di società, non è in realtà generale, ma
particolare, dal momento che riflette solo certi caratteri della società
contemporanea.
Questi limiti si colgono anche nel suo articolo apparso
ieri su "Repubblica", dove Baudrillard contrappone le élite della
politica al popolo che ha votato no ai referendum sulla costituzione europea.
Se la contrapposizione può essere accettata, non può invece essere accettata la
spiegazione che ne dà Baudrillard: il no sarebbe frutto di un egoismo
consumistico, alimentato simbolicamente dalle stesso sistema, e tacitamente
accettato da élite e popolo.
Ora non si capisce, come Baudrillard possa poi sostenere,
nella chiusa dell'articolo, contraddicendosi, che dal no potrebbe svilupparsi
una opposizione diffusa al nuovo ordine mondiale basato su guerre e alti
consumi.
Delle due l'una: se élite e popolo parlano lo stesso
linguaggio dell' egoismo, il "cambiamento" non è possibile; se élite
e popolo parlano linguaggi diversi (le élite quello dell'egoismo, il popolo
quello dell'altruismo), allora il "cambiamento" è possibile.
Tuttavia, in questo secondo caso, Baudrillard deve spiegare, e chiaramente,
come una macchina che "produce" automi e simulacri, possa
all'improvviso "produrre", essere creativi e valori simbolici
autentici. Si tratta di una spiegazione importante, cruciale, che non riguarda
solo la teoria sociologica, ma il ruolo della libertà umana nella storia
Certo, il problema dei problemi. Ma al quale un pensatore
della statura di Baudrillard non può continuare a sottrarsi.
Carlo Gambescia
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