venerdì 2 settembre 2022

Russia e “fame” di vittorie

 


Il funzionamento della memoria collettiva e le abitudini sociali consolidate aiutano a spiegare perché in Europa non si sia compresa una cosa fondamentale: che L’Occidente euro-americano, piaccia o meno, è in guerra con la Russia.

Sembra infatti prevalere a livello politico e di opinione pubblica l’idea che il conflitto in atto, provocato dalla Russia con l’invasione dell’ Ucraina, sia qualcosa di localizzato in grado di non incidere più di tanto sulle vite degli occidentali. Inoltre si ritiene, altrettanto erroneamente, che la Russia prima o poi si stancherà. Infine, quanto alle conseguenze economiche e sociali, si punta su interventi di sostegno in grado di attenuare la crescita della “bolletta” energetica.

Fino a quando potrà durare questa finzione? Probabilmente fino a quando, in Occidente, la memoria collettiva, largamente pacifista, e le abitudini sociali consolidate, ampiamente consumiste, non si saranno incrinate fino al punto di andare in pezzi sotto i colpi della controffensiva economica russa.

Al di là della battaglia sul campo, è in corso una specie di gara di resistenza: vincerà chi sarà in grado di non perdere il consenso popolare. Di qui l’ importanza della coesione interna e delle misure economiche volte a rafforzarla.

Il che però è vero fino a un certo punto. Si segua il nostro ragionamento.

Nell’Occidente euro-americano, e in particolare in Europa, si gioca sul ruolo del welfare, cioè sullo scambio tra benessere e consenso. In Russia invece, il benessere viene considerato un valore secondario rispetto agli ideali di potenza, sui quali si chiede consenso assoluto, non sono insomma considerati merce di scambio.

Per dirla diversamente: il confronto è tra benessere civile (Europa e Stati Uniti) e potenza militare (Russia).

Tutti e due gli “argomenti”, per così dire, hanno un fondamento sul piano della memoria collettiva e delle abitudini sociali. Gli europei (quindi parliamo dei popoli), dopo settant’anni di propaganda pacifista, temono la guerra e non vogliono rinunciare a importanti abitudini di consumo consolidate. Invece i russi hanno sempre fatto la fame: in ciò consistono le loro abitudini di vita consolidate. Inoltre hanno tuttora memoria, più viva che mai, dell’ antica potenza imperiale.

Naturalmente, esistono le linee di rottura. A un certo punto, l’Occidente euro-americano, se messo alle strette, potrebbe uscire dall’equivoco, sfoderando la spada per difendere l’alto tenore di vita alla base del consenso politico. Per contro, la Russia, potrebbe cedere sul piano interno, sotto i colpi di gravissimi sommovimenti sociali e politici provocati dallarevanche del burro sui cannoni. Ma potrebbe accadere anche il contrario: crollo dei regimi liberal-democratici, soprattutto in Europa, aggrediti dalle contro-sanzioni russe e da una disinformazione che dipinge la Russia come il migliore alleato dell’Ue.

Sotto quest’ultimo aspetto, c’è chi sostiene la necessità di abbandonare al proprio destino l’Ucraina, costringendo Kiev a firmare un trattato di pace con la Russia, subendo gravi amputazioni territoriali. Così Mosca, si dice, una volta soddisfatta, tornerà ad aprire i rubinetti del gas. Insomma, ci si illude che tutto possa tornare come prima. E che la Russia, una volta fagocitata l’Ucraina o parte dell’Ucraina, resterà con le mani in mano dinanzi alla progressiva autonomia energetica dell’Europa, come pure allo sviluppo della sua forza militare,  fuori o dentro la Nato.

Dicevamo che vincerà chi sarà capace di resistere di più. Il punto è che la diffusione del benessere alla lunga infiacchisce i popoli, mentre la voglia di uscire dal “malessere”, anche con le armi, li fortifica. Ovviamente, il “malessere” russo si basa su una cattiva redistribuzione delle risorse, tra l’altro immense, che le élite politiche si propongono di risolvere in chiave imperialista. Insomma, si rifiuta la pace a priori.

Purtroppo, come insegnano sociologia e storia, memoria sociale e abitudini consolidate sono un’ arma a doppio taglio. Tutto dipende dai loro contenuti “vitalistici”. Per mutuare un termine dal linguaggio calcistico, il ruolo della coesione interna è legato alla “fame” di vittorie che si ha. Più si è sazi meno si vuole combattere.

Che poi i risultati per i guerrafondai (semplificando) siano disastrosi, indipendentemente dal tasso di aggressività, non impedisce che vanagloria e miseria, soprattutto se ben temperate insieme, costituiscano un inevitabile fattore di guerra.

Pertanto illudersi che i russi mollino la presa, almeno al presente, è sbagliato. E quanto al futuro, addirittura controproducente. Ovviamente per l’Occidente e in particolare per l’Europa.

Carlo Gambescia

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