sabato 24 settembre 2022

Domenica si vota. Arte politica e demagogia

 


Le campagne elettorali sono ormai il trionfo della demagogia, soprattutto nelle ultime ore, quando si ricorre sistematicamente alla politica delle pillole avvelenate contro l’avversario, per farsi intendere, senza tanti giri di parole, dal popolo sovrano.

Per capirsi. Se Enrico Letta alimenta la paura sul ritorno del fascismo da parata ai fori imperiali, Giorgia Meloni chiede il voto per abbattere un altrettanto fantomatico “sistema di potere della sinistra”. Tuttavia, al di là di questo teatrino elettorale, anche Pd e FdI, come tutti gli altri partiti, promettono più spesa pubblica. E quando diciamo tutti, diciamo proprio tutti i partiti.

Proviamo allora a fare qualche riflessione più generale.

Chi è colto, con studi, libri all’attivo, interesse scientifici, eccetera, almeno a prima vista, non può che essere contro la democrazia. Perché, rivolgendosi a tutti e chiedendo il voto a tutti, rischia di tramutare regolarmente la politica, che è cosa complessa e per pochi, nella caccia al voto. Come? Promettendo tutto a tutti. Si chiama demagogia.

Per dirla in altri termini, il problema della democrazia è quello di come ingraziarsi gli elettori; il problema della politica invece è quello di come prendere decisioni sgradite, senza che gli elettori se ne accorgano.

La politica, che per metà è scienza e per metà arte, reggendosi sulla relazione comando-obbedienza (cosa provata dalla scienza politica), consiste però nell’arte (quindi in qualcosa di cui solo pochi sono capaci) di far sì che la gente obbedisca, illudendosi di comandare. Nel tramutare, insomma, il potere politico in influenza sociale.

Ovviamente, in un sistema politico quanto più il tasso di demagogia è elevato, tanto più riesce difficile imporre l’obbedienza al comando.

La crisi delle democrazie contemporanee è proprio nel forte tasso di assistenzialismo e populismo che le caratterizza: in pratica l’obbedienza è comprata a colpi di spesa sociale. La politica si è ridotta a una battaglia sui bonus, sulle pensioni, eccetera.

Però indietro non si può tornare. Anche perché la sovranità di dio e di un sovrano assoluto, unto dal signore, al posto di quella del popolo, non cambierebbe di molto le cose. A decidere sarebbero sempre in pochi e a obbedire in molti. Con la differenza che all’interesse pubblico del popolo si sostituirebbe quello privato della dinastia che vede e provvede senza rendere conto a nessuno.

Che fare allora? Purtroppo la principale idea sgradita del nostro tempo, quella di ridurre il welfare statale per rilanciare l’economia privata, non può essere tradotta in pratica: tagliare la spesa pubblica e sociale significa perdere voti, e perdere voti, significa cedere il comando ad altri più bravi nel promettere, eccetera, eccetera.

Fin quando la spesa pubblica resterà uno strumento di conservazione del potere le campagne elettorali non perderanno il carattere demagogico che le caratterizza, come pure i governi, votati da elettori affamati di assistenza sociale.

Per uscire dal ciclo elettorale imperniato sulla spesa pubblica, si dovrebbe intervenire sulle sue fonti, privatizzando l’economia. Altra idea sgradita del nostro tempo.

Come si può intuire, la democrazia welfarista, basata sulla spesa pubblica e sociale ha una forza inarrestabile. Almeno fino a quando ci sarà crescita economica e prodotto interno lordo da redistribuire. Dopo di che sarà la crisi fiscale dello stato a giocare un ruolo determinante, come già accaduto, per fare un esempio classico, nel tardo Impero romano.

Come dicevamo, chiunque conosca la storia, non può che essere contro la democrazia. Però, e questo va riconosciuto, gli altri sistemi politici, non sono migliori. Inoltre la democrazia, così come si è sviluppata negli ultimi secoli, si differenzia da altri sistemi politici storici perché presenta due importanti innovazioni:  il liberalismo e l’economia di mercato. Si potrebbe perciò parlare di sistemi liberal-democratici. Il punto è che nel tempo, soprattutto nella seconda metà del Novecento, alla democrazia liberale si è sostituita la democrazia sociale. Di qui, il ciclo demagogico-elettorale-welfarista di cui abbiamo discusso.

Come uscirne? Ciò che manca è una classe politica, di artisti della politica, capace di far sì che la gente obbedisca, illudendosi di comandare. Per poter così aprire un varco alle riforme liberali, riforme che possono solo far bene alle nostre società.

Una classe politica, che sicuramente non uscirà dalle prossime elezioni. E forse neppure da quelle successive.

Carlo Gambescia

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