martedì 26 luglio 2022

Sul fascismo immaginario

 


Un’ indagine ci dice che quando si chiede un giudizio su Mussolini agli elettori italiani, si scopre che venti italiani su cento ritengono che il “duce” abbia lasciato un segno positivo nella storia italiana (20 per cento). Certo, come si può vedere, Mussolini è in fondo alla classifica (*), dopo Garibaldi (91.4), Moro (91.3), Mazzini (85), Cavour (76.4), De Gasperi (69.8) e altri ancora. Però…

Inoltre, tredici italiani su cento scorgono nel il fascismo un fenomeno positivo.

L’indagine Demos, coordinata dal professor Diamanti risale al 2011 (*), anno della celebrazione dei centocinquant’anni dell’ Unità d’Italia. Per quando ne sappiamo, non risultano “agli atti” altre inchieste specifiche o comunque aggiornate. Di conseguenza, per il nostro ragionamento, non possiamo non partire da queste cifre.

Cominciamo col dire che il fascismo non è poi un fenomeno immaginario perché esistono italiani, essere umani, concreti, che apprezzano sia Mussolini, che ne fu l’inventore, sia il fascismo stesso. Diciamo che ci sono tuttora italiani che stimano l’idea e il regime.

Su questo zoccolo duro, quindi reale, di fascisti e mussoliniani, si innestano altri fenomeni culturali che in qualsiasi momento possono portare acqua al mulino del fascismo, o più correttamente del neofascismo.

Fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti: il disprezzo verso le istituzioni parlamentari e i partiti, le remore acutissime verso il capitalismo, un sentimento di amore-odio, spesso però solo di odio, verso gli Stati Uniti e l’idea di Occidente come patrimonio comune di valori tra le due sponde dell’Oceano.

Pertanto sminuire il pericolo fascista, evocando il fascismo immaginario delle sinistre, giudicato come frutto di pura e semplice propaganda, è segno di grande superficialità politica. Insomma, non è corretto amplificarlo, soprattutto a fini elettorali. Però, ripetiamo, non va neppure sottovalutato.

Del resto, si dirà, non ci sono camicie nere in giro, eccetera. Certamente. Tuttavia, il pericolo neofascista è racchiuso proprio in quel carattere, che un intelligente storico, Tarmo Kunnas, definì come “tentazione fascista”. Che si manifesta in una serie di fattori, come il rifiuto del liberalismo, dei diritti politici ed economici individuali, nella critica dell’idea di progresso e delle conquiste giuridiche della modernità.

Fattori di critica, se si vuole generici, addirittura populisti, se non qualunquisti, ai quali però, per contrasto e rafforzamento, si affianca il culto diffuso di uno stato etico che vede e provvede a tutto: quante volte, si sente tuttora ripetere, davanti alle telecamere, “Dov’ è lo stato?”. Lo si vede come unica entità capace di preservare i valori della patria, di dio e della famiglia, ma anche, e in modo esclusivo, quello della razza: si pensi alle arcaiche reazioni della Lega e di Fratelli d’Italia dinanzi ai migranti.

Nello schema ( e poi prassi) della “tentazione fascista”, il liberalismo in particolare viene giudicato quale portatore di disordine e di confusione morale.

Sono tutte idee che in passato contribuirono a creare quell’atmosfera irrazionalistica che tra Otto e Novecento preparò, insieme ad altre componenti economiche e sociali, l’ascesa al potere, tra le due guerre, dei fascismi. Va detto che la critica al liberalismo accomuna il fascismo al comunismo, critica che inevitabilmente, come provano numerosi studi storici e sociologici, sfocia nello stato dittatoriale o totalitario.

In questo senso si può pertanto parlare di tentazione fascista ogni qualvolta viene chiamato in causa, criticandolo, il liberalismo. Ogni critica al parlamento, ai partiti, alla libertà d’ impresa, ai diritti civili dei singoli, all’idea di progresso, contribuisce a ricreare quel clima da tentazione fascista, o se si preferisce le precondizioni culturali e sociali alla proliferazione istituzionale del fascismo.

Vorremmo infine spendere qualche parola sul revisionismo storico. Ora la storiografia stessa, non può che essere revisionista: nuove scoperte, nuove ricerche, nuovi studi, consentono di approfondire le cause degli eventi storici. Quindi accusare un storico di essere revisionista significa fargli un complimento. Ciò che non va confuso con il revisionismo è il riabilitazionismo, per intendersi, alla Orwell, alla “1984”, nel senso di una riscrittura continua della storia, secondo i desiderata del potere.

Si può, anzi si deve approfondire lo studio del fascismo, ma non per riabilitarlo politicamente. Cioè per farne un uso politico, magari a fini elettorali, contribuendo così allo sviluppo di un clima da “tentazione fascista”.

Ora, se si chiede a Berlusconi, Salvini, Meloni, se il fascismo e Mussolini fecero cose buone. I tre risponderanno di sì. Probabilmente per non perdere i voti di quel venti per cento. Oppure perché ritengono realmente che non tutto del fascismo sia da buttare. O tutte e due le cose insieme. Comunque sia, lo riabilitano. Ne fanno un uso politico.

Che utilizzazione politica si potrà mai fare del fascismo all’interno di una democrazia liberale? Pur con molti difetti ma aperta al mondo e ai diritti individuali? Di solito, per avvalorare la “tesi sociale” si evocano alcune misure del fascismo: dalla Carta del lavoro ai salvataggi degli anni Trenta.

Ma in una democrazia liberale, di queste cose si occupano la socialdemocrazia e il liberalismo sociale. Che c’entra il fascismo? Cosa vogliamo dire? Che non c’è alcun bisogno di rispolverare le presunte (perché non tutti gli storici sono d’accordo) riforme sociali del “duce”. Esistono, allo scopo, i riformatori democratici.

Perciò “gatta ci cova”. Di qui la necessità di vigilare. Con discrezione. Insomma senza eccessi e ipocrisie, come invece usano fare ex e post comunisti, che di scheletri (totalitari) negli armadi ne hanno in quantità industriali. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia

(*)Si veda qui:  http://www.demos.it/a00571.php .

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