martedì 12 luglio 2022

Da Angelo Guglielmi a Sigfrido Ranucci

 


Se il medium è il messaggio, per dirla con Mcluhan, può esistere una tv colta e popolare al tempo stesso?

Si dirà che razza di domanda. Però la morte di Angelo Guglielmi, una specie di portabandiera della sinistra televisiva che si autoproclama colta e popolare al tempo stesso, impone un interrogativo del genere. Al quale è necessario tentare di rispondere.

La sinistra culturale è abilissima sul piano mitologico: Pasolini, Gomorra, la Meglio Gioventù, Ustica, I Cento Passi, il Bacio di Andreotti, lo Stalliere di Arcore, Mani Pulite eccetera, eccetera. Ecco la miracolosa  macchina mitologica, dotata di forza propria. Che, a prescindere dai fatti,   fagocita chiunque provi a fare segno con il ditino.

Qualcosa che deriva dalla furba necessità, mai avvertita dall’ intellettuale liberale, di farsi amare dal popolo, nutrendolo di ciò che ama di più: il complotto e il mito.

Va detto che l’uso della mitologia complottista presuppone immagini e simboli capaci di destare sentimenti collettivi, di tipo trasversale, capaci di rientrare, come è stato, in una specie di immaginario comune, che apparentemente va al di là delle differenze politiche. Qualcosa di iconico che parla direttamente al popolo televisivo: gli occhiali scuri di Pasolini, i teen ager camorristi che in slip sparano colpi di mitra contro il cielo, i rottami del Dc9 assemblati, eccetera.

Come ci si fa amare dal popolo? La ricetta è antica: pane e giochi.

Angelo Guglielmi, sotto il profilo dei giochi, se si vuole dell’intrattenimento televisivo, resta una specie di mago. Altro che Freccero…

A lui si devono programmi come “Telefono giallo”, “Samarcanda”, “Linea rovente”, “Un giorno in pretura”, “La TV delle ragazze”, “Blob”, “Chi l’ha visto?”, “Mi manda Lubrano”, “Io confesso”, “Magazine 3”, “Avanzi”, “Ultimo minuto”, “Quelli del calcio”, “Tunnel” e “Storie maledette”. Come pure il lancio e il successo di Corrado Augias, Michele Santoro, Donatella Raffai, Roberta Petrelluzzi, Fabio Fazio, Piero Chiambretti, Serena Dandini, Daniele Luttazzi, Simonetta Martone, Maurizio Mannoni e Franca Leosini.

Con l’avvento delle private, e in particolare delle televisioni di Berlusconi, l’intrattenimento, soprattutto negli anni Ottanta, prese, a livello di immaginario popolare, due direzioni, semplifichiamo: quello scollacciato (Mediaset) e quello togato (Rai e in particolare Rai 3 sotto Gugliemi).

Togato in che senso? Della televisione realtà o verità che però mitologizza tutto, in termini di buoni e cattivi: dall’inchiesta al programma comico. “Blob” ancora oggi è l’esemplificazione di cosa significhi non essere nelle grazie della sinistra. Si viene trasformati in una velenosa poltiglia di immagini veicolo di mezze verità, pettegolezzi, allusioni.

Il senso della realtà, di cui si disquisisce a sinistra, ricordando Guglielmi, consiste nella brutale individuazione del nemico mitologico, o se si preferisce del capro espiatorio: il capitale, il potere, i partiti di destra o comunque avversi, dipinti come potenti animatori di complotti, ovviamente impersonificati dalle vittime di turno. Il Cavaliere, che a dire il vero non si è mai sottratto, è ancora oggi, magari in chiave archeologica, un bersaglio ambito.

Insomma, a Rai 3 spetta il monopolio dell’impegno civile e politico, a tutti gli altri, incluse le altre reti Rai, i rottami del Bagaglino e dei giochi a premi. Questa la verità immaginaria  e immaginifica,  ormai agli atti. 

I giochi sono fatti. La via è segnata:  al bisogno del nemico da lapidare televisivamente, come detto, si aggiunge l’aspetto avventuroso: il mito del contropotere e del complotto da sventare a colpi di inchieste reinventate e di battute insolenti anche nei programmi comici.

Concludendo, la Rai 3 di Guglielmi, che abbraccia il periodo che va dal 1987 al 1994 ( “i sette anni che cambiarono il mondo”, come scrive “Repubblica”), rappresenta la pistola ancora carica del populismo presuntuoso che non vuole essere ritenuto tale; che pretende di fare la lezione a tutti, ma che non può rinunciare nonostante i proclami culturali, a usare il mezzo televisivo per quello che è: né colto, né popolare, ma populista. Sicché, ripetiamo, il medium è il messaggio. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Si sente ripetere che la colpa dell’involgarimento televisivo è del Cavaliere. Può darsi: diciamo dalla vita in giù. Dalla vita in su, però, la responsabilità è di Angelo Guglielmi.

Ci si ricordi di queste velenose radici, soprattutto ogni volta che appare sul teleschermo il bronzeo faccione di Sigfrido Ranucci.

Carlo Gambescia

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