mercoledì 13 luglio 2022

Il romanticismo politico allo spritz della sinistra

 


Di solito si parla, e giustamente, in termini negativi del romanticismo politico di destra, in particolare si guarda alla destra fascista e neofascista. Romanticismo nel senso di un agire politico basato sullo slancio, sull’attivismo, con ricadute nella violenza fisica contro gli avversari politici.

Ma soprattutto per romanticismo politico di destra si intende il bel gesto, la ricerca della bella morte nel nome di un ideale semipiratesco costellato di teschi e bandiere nere.

Ad esempio l’iconografia ideologica della Repubblica Sociale è totalmente imperniata sulla mistica del sacrificio individuale in nome dell’idea fascista. Si muore per coerenza verso Mussolini, verso l’Italia invasa, verso l’alleato nazista.

E a sinistra invece? Purtroppo, anche qui, il rapporto tra romanticismo politico e rivoluzione armata ha segnato in passato il destino dei gruppi terroristici, che sul piano dell’uso politico della violenza non possono essere distinti dai gruppi terroristici di estrema destra.

Diciamo che il culto romantico della rivoluzione ha riguardato in particolare i gruppi anarchici e leninisti

L’anarchia e i suoi rari esperimenti sociali come pure il leninismo della spallata rivoluzionaria hanno rappresentato per molti militanti anarchici e comunisti (tra l’altro divisi all’interno) un’idea per la quale si poteva morire.

Esiste però a sinistra – qui la differenza con la destra – un romanticismo politico non pericoloso, legato all’immaginario artistico, cinematografico, letterario. Insomma, cose da intellettuali. Un lusso, che la destra, essendo a corto di pensatori, non può permettersi. Al massimo, per la destra neofascista, il romanticismo politico, per così dire da passeggio, consiste nella battaglia per una targa stradale, tipo “Vogliamo il Lungomare Almirante”.

Per contro, il romanticismo politico della sinistra ha messo in moto quel processo, che sempre gli urbanisti di sinistra, hanno giustamente definito di “gentrificazione” o imborghesimento di alcune aree delle grandi città, in precedenza socialmente marginali.

Sulla gentrificazione esistono due scuole di pensiero. La prima che vi scorge un fenomeno negativo, perché causerebbe, si dice, l’espulsione dei “nativi”, e la loro sostituzione, con ricchi professionisti, artisti, attori, eccetera. La seconda, che invece vede nella gentrificazione una perfetta fusione tra i “nativi” e i nuovi professionisti.

Il primo caso è quello di alcune grandi città americane, in primis New York, dove la gentrificazione ha sempre causato la sostituzione degli afro-americani o dei bianchi poveri con gli americani benestanti.

Per il secondo caso, ci riferisce, ad esempio per l’Italia, alla gentrificazione delle aree di Testaccio, San Lorenzo, Pigneto a Roma, San Salvario a Torino, l’ Isola a Milano, San Niccolò a Firenze.

Comunque stiano le cose, si è visto all’opera, soprattutto in Italia, un circuito virtuoso, o che comunque funziona, tra denaro, professioni e idee progressiste: un mix di romanticismo politico da passeggio e buoni affari più innocuo di uno spritz.

Si prenda ad esempio il Pigneto, area posta sulle direttrici stradali che vanno da San Lorenzo a via Prenestina e Casilina.

Ora, al principio di tutto, si ritrova l’iconografia pasoliniana, in particolare cinematografica, legata al film “Accattone”: con un Franco Citti, una specie Cristo dolente, ma di professione macrò e nato stanco, che si aggira, accompagnato dalle musiche di Bach, per le strade polverose e assolate della borgata.

Quel film, che comunque ha un suo fascino, visto e rivisto un milione di volte dall’intelligenza progressista, si è tramutato in fenomeno iconico e sociale: nel rimpianto di un mondo perduto, morto con Pasolini, vittima di un complotto, eccetera, eccetera. Il tutto è andato però a mescolarsi – qui il senso degli affari della sinistra – con i prezzi inizialmente bassi (una venticinquina di anni fa), degli immobili, ceduti dai “nativi, trasferitisi fuori Roma, magari sempre sulla Prenestina, in “seconde casette” o in immobili dell’Istituto Case Popolari. Attualmente, Nanni Moretti, sta girando un film al Pigneto. Non è il primo, neppure sarà l’ultimo. Parafrasando, la Cinecittà del Pigneto come l’arma più forte del regime… .

Va comunque detto che la direttrice di gentrificazione si va spostando sulla Prenestina in direzione di Centocelle, un tempo polverosa periferia romana, oggi invece piena di locali che stanno diventando alla moda.

A Centocelle di recente è stata dedicata un fiction comica ma fino a un certo punto, con Neri Marcoré nelle vesti di uno stralunato “Osho di Via dei Ciclamini. Un lavoro interessante per gli stereotipi progressisti che contiene. Tradotto: una Centocelle, forse volutamente con troppa immondizia per strada, al centro del rimpianto cosmico per un mondo perduto, popolato di uomini e donne, induriti dalla vita ma sinceri, oggi costretti a confrontarsi con un mondo corrotto. Votate Partito democratico.

Riassumendo, come direbbero i “nativi” del Pigneto, si può osservare che il romanticismo politico di sinistra “piagne er morto e frega er vivo”.

Però, non si deve essere rigidi nel giudizio, moralisti. In fondo stanno meglio tutti: i residui nativi del Pigneto che gestiscono attività commerciali, i locatori con seconde case nei dintorni di Roma Est e suvvetto di proprietà, le agenzie immobiliari che guadagnano con l’intermediazione. E infine i professionisti, fieri dell’atmosfera archeologica pasoliniana, nonché i registi, come Nanni Moretti, che consacrano il Pigneto, celebrando il ricordo di Pasolini a gloria eterna di un anticapitalismo con i domestici filippini.

Certo, l’ipocrisia può anche dar fastidio. Ma, eventualmente, a differenza delle brigate rosse e nere (non in senso calcistico) sono crimini senza vittime. Detto altrimenti, al romanticismo di destra, delle teste di morto, non solo in senso figurato, e al romanticismo anarcoide o leninista di sinistra dal mitra facile, è preferibile quello allo spritz della sinistra delle professioni dorate.

Certo, con quel tono di superiorità, non saranno simpatici, però non sparano, ma riqualificano e fanno girare l’economia.

Carlo Gambescia

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