venerdì 15 luglio 2022

Eugenio Scalfari, tra Lutero e Machiavelli

 


Esiste un legame tra le dimissioni (per ora respinte) di Draghi e la morte di un Machiavelli del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari?

Diciamo che Draghi rappresenta, simbolicamente, il tecnocrate di alto livello, che Eugenio Scalfari, per tutta la sua vita giornalistico-editoriale, ha sognato come il nuovo principe, capace di unificare la politica italiana, sotto le bandiere di una terza forza politica progressista. Un “partito”, anche editoriale, in grado di riunire i migliori – professori, tecnocrati, intellettuali – per insegnare agli italiani, come a scuola, ad essere liberi. Anche, se ci si passa l’espressione, a calci nel sedere.

In estrema sintesi, Machiavelli sta a Cesare Borgia, come Scalfari sta a Mario Draghi. Ma quel che conta, concettualmente parlando, è il momento machiavellico rappresentato dalla missione editoriale-giornalistica di Eugenio Scalfari, eccellente organizzatore e mediocre giornalista, nel senso della parola scritta. Dal momento che i suoi articoli e libri hanno sempre ruotato intorno a un’idea fissa: una specie di ossessione politica di tipo luterano.

Quale? Combattere la Roma Prostituta e riformare la Chiesa Italia. Una specie di seconda riforma protestante, laica, da attuare – qui il momento machiavellico che si fa luterano – alleandosi, come negli anni Ottanta, con il diavolo comunista per massacrare i contadini andreottiani e craxiani, sulla falsariga di un Lutero che si alleò con i principi secolarizzati per passare a fil di spada la plebe rivoltosa delle campagne.

Sostanzialmente, il progetto politico di Scalfari, può essere riassunto dal classico “tutto per il popolo, nulla attraverso il popolo”. Elitismo politico al cento per cento: Machiavelli e Lutero. Il diavolo e l’acquasanta. Il primo confidò nella riforma politica italiana ad opera di Cesare Borgia, il secondo in quella tedesca, attuata dai principi di Sassonia che lo protessero da Roma.

Ciò spiega il valore simbolico di Draghi, ovviamente appoggiato da Scalfari. Draghi non è il Borgia, come non è Federico III di Sassonia. Ma per i machiavellici elitisti di fede liberalsocialista, fede sentita con il calore di un redivivo luteranesimo, è l’eletto: il dio tecnocratico che impugna la spada fiammeggiante. O se si preferisce il signore delle maree politico-bancarie che salverà l’Italia dalle tenebre dei venditori di indulgenze: fratacchioni inverecondi e monache di Monza come Berlusconi, Salvini, Meloni.

Ora però Draghi vuole passare la mano e Scalfari è morto. Resta la potente chiesa luterana d’Italia, con a capo però un democristiano, Sergio Mattarella.

A parte Scalfari, abituato a cadere in piedi (con una raccomandazione del Papa, anche gli atei entrano in paradiso o almeno vanno in Purgatorio), chissà cosa penseranno di Sergio Mattarella, Machiavelli e Lutero, amanti della maniere forti in politica, ora immersi nell'infernale  Flegetonte?

Parliamo di un personaggio che tomo tomo, cacchio cacchio è rimasto  al Quirinale con il voto dei luterani e pure dei venditori di indulgenze. Bah…

Carlo Gambescia

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