giovedì 17 marzo 2022

Putin è un criminale di guerra? Non solo…

 


Secondo Biden, Putin è “un criminale di guerra”. E allora gli americani in Vietnam, Guantanamo, Hiroshima, gli Indiani, eccetera? Ogni volta è così. Si lanciano accuse, scagliandosi a vicenda in faccia “pezzi” di storia. In questo modo, come vedremo, non c’è però soluzione. Tutti possono dire e fare tutto. Basta trovare una giustificazione storica. Tutti colpevoli, nessun colpevole.

La catena delle autogiustificazioni storiche va spezzata. Come? Limitiamoci ai fatti. A ciò che sta accadendo in Ucraina.

La categoria concettuale e giuridica di “crimine di guerra” si è sviluppata insieme al diritto internazionale umanitario dopo la Seconda guerra mondiale. Il “criminale di guerra” è chiunque tratti in modo disumano, combattenti, civili e prigionieri.

Ad esempio, come codificano varie convenzioni internazionali, non si possono passare a fil di spada i soldati che si arrendono, come pure è vietato infierire sulle popolazioni civili o sfinire i prigionieri di guerra con digiuni, lavori forzati e altre forme di comportamento disumano.

Si dirà che esiste una guerra rappresentata, quindi immaginaria, e una guerra reale, fisica, vera, sul campo. Di riflesso, come alcuni sostengono, poiché le notizie che si susseguono durante le guerre fanno parte di “narrazioni” differenti e opposte, non si può parlare di crimini di guerra fino a quando una commissione internazionale, dopo il conflitto, non avrà verificato eccetera, eccetera. Insomma, tracciato un confine netto tra immaginazione e  realtà, tra propaganda e fatti.

Di regola, durante le guerre sembra prevalere il giochino (si fa per dire) su “chi abbia cominciato prima”, o sul “chi non abbia peccato scagli la prima pietra”. Atteggiamento politico-informativo che rinvia all’armamentario ideologico-propagandistico usato dalle forze in campo per delegittimarsi a vicenda.

Per capirsi, come accennato nell’incipit, la si butta in caciara, come nei talk show. Solo che in guerra sono in gioco le vite di uomini, donne, anziani, bambini.

Detto altrimenti, il ricorso alle propagande reciproche e alle “catene storiche” non significa che, di fatto, hic et nunc, non si commettano crimini di guerra.

Bombardare la popolazione civile è un atto criminale? Sì. Lo è anche affamarla oppure obbligarla alla diaspora? Sì.

Ed è ciò che sta accadendo, propaganda o meno, nell’Ucraina invasa dai russi. Sotto questo aspetto il comportamento di Putin è quello di un criminale di guerra.

Perciò è ovvio, e non parliamo solo di Putin (che potrebbe farla franca), che finita una guerra si debba fare giustizia, sebbene per gli sconfitti continui a suonare sempre come ingiusta punizione.

Giustizia come esempio e come atto riparatore. Certo, sarà poi l’intelligenza politica dei vincitori a trovare una terza via tra etica della responsabilità ed etica dei principi, mitigando, fin dove possibile, la cattiva sorte dei vinti.

Facciamo però un passo indietro. Si asserisce pure che dal punto di vista del realismo politico le sofferenze delle popolazioni civili fanno parte degli inevitabili danni collaterali causati dalle guerre. Quindi, in guerra, certi “crimini” prima o poi sono commessi da tutti i contendenti, eccetera, eccetera.

Ci si consenta la battuta: se tutti rubano la colpa è degli onesti? No. Insomma, esiste un minimum morale irrinunciabile, hic et nunc, soprattutto a salvaguardia degli inermi. Qui risiede la differenza tra realismo politico buono e realismo politico cattivo, criminogeno appunto.

Di conseguenza, ripetiamo, dal punto di vista del diritto umanitario internazionale Putin è un criminale di guerra.

Non solo però. Si segua il filo del nostro ragionamento.

Il realismo politico insegna pure che la decisione di fare la guerra va sempre valutata con attenzione.

Un buon realista politico (o metapolitico), pur essendo consapevole del fatto che la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi, evita le guerre inutili; tratta, per evitarle, quelle che si possono perdere, diciamo le guerre difficili; le inizia solo quando è sicuro di vincere.

Chiunque ignori questi aspetti, non è buon realista politico. Perché, per tornare a Putin, la guerra in Ucraina rischia di trasformarsi in boomerang, in termini di danno umanitario (le giustificate accuse di essere un criminale di guerra), di credibilità militare (i lenti sviluppi sul campo), di coesione interna, di regime (come provano le pur timide proteste). E Putin non lo sapeva?  Oppure sì?  O ancora meglio,  non si è proprio curato della cosa?

Qui si apre un’ altra questione: più generale. Diciamo una ragione di ottusità culturale che va al di là del chiacchiericcio geopolitico e dei giochini sulla la prima pietra, eccetera.

Di cosa parliamo? Dell’incomprensione, strutturale, da parte di un Putin di un fatto fondamentale: che l’Europa Orientale non vuole più sentir parlare della Russia, soprattutto dei suoi arcaismi. E qui si pensi alle incredibili dichiarazioni omofobiche del patriarca moscovita in appoggio alla guerra in Ucraina.

Le nazioni ex satelliti oggi guardano all’ Occidente, al suo benessere, ai traffici, al commercio, al turismo, a un tenore di vita che in Russia è tuttora riservato a pochi eletti.

Putin vuole imporre con la forza una visione arcaica del mondo e un’economia da miserabili, alla quale i popoli dell’Europa orientale hanno voltato le spalle. Il che però spiega il fascino antimoderno che egli esercita sui reazionari di tutto il mondo affamati di gerarchia, autorità e autarchia.

Per fare questo passo indietro Putin ha deciso di puntare sulla guerra a rischio di provocare un’escalation militare dalle conseguenze catastrofiche.

Che dire? Criminale e stupido.

Carlo Gambescia

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