mercoledì 16 marzo 2022

L'Occidente guardi a Churchill


 

Il nostro tono è semireligioso. Quasi da parroco. Può dare fastidio. Ma invitiamo lo stesso gli avvocati europei di Putin a ravvedersi finché in tempo. A essere onesti con se stessi, a non  farsi  accecare moralmente dall’antiamericanismo.

Quel che ha fatto Putin ha precedenti novecenteschi nella storia europea, per forze dispiegate, spettro di combattimento e rivendicazioni ideologiche, solo nella campagna militare di Hitler contro la Polonia. E tutti sappiamo come finì: sei anni, catastrofici, di guerra mondiale. Come si può giustificare una cosa del genere? Per inciso se proprio di guerra vestfaliana si deve parlare, questa lo è al cubo. Fuori dall’ordinario.

Ecco cosa ricordiamo – il lettore prenda fiato – a coloro che dicono che Putin ha ragione e che quindi bisogna capirlo se bombarda gli ucraini perché l’Occidente “cattivo”, ovviamente, lo ha messo nell’angolo, dal momento che l’Ucraina sarebbe parte spirituale integrante della Russia, come asseriscono alcuni tra i difensori di Putin, diciamo i romantici, o comunque suo interesse vitale, come rilevano altri paladini, i geopolitici.

Ciò che resta significativo è che gli avvocati putiniani, sia romantici che geopolitici, si appellano all’idea di pace, rovesciando la logica comune, che invece porta a condannare e punire l’aggressore, come nel caso dell’Ucraina, anche con la guerra. Un popolo che, mai dimenticarlo, si è avvicinato per propria volontà all’Occidente, come provano la forte resistenza e la diaspora di questi giorni. I carri armati di Putin non sono stati accolti con lanci di fiori. Pertanto l’idea, condivisa dal filoputiano romantico, dell’unità spirituale tra russi e ucraini, rinvia all’idea di “tradizione inventata” (Hobsbawm).

Quanto all’approccio geopolitico, diciamo realista, dell’interesse vitale, siamo davanti a ciò che abbiamo definito realismo criminogeno (*): il compiacersi dell’uso della forza, anche militare, e quindi del male (perché si procura del male fisico e morale agli altri), per imporre la propria idea di interesse vitale, ovviamente presentata come imprescindibile, fino al punto di schiacciare il nemico senza pietà perché di ostacolo ai propri disegni.

Va detto che il concetto di interesse vitale, dal punto di vista teorico e storico era sconosciuto a Egiziani, Assiri, Persiani, Greci, Macedoni, Romani e così via, lungo i sentieri della storia, fino alla sua “scoperta”, legata alla fondazione di una pseudoscienza come la geopolitica, soprattutto nella sua veste di ideologia parascientifica totalmente piegata al servizio delle armate di Hitler.

Per contro, dal punto di vista metapolitico, il concetto di interesse vitale, rinvia alla giustificazione ideologica delle pratiche egemoniche. Tutto qui.

Siamo dinanzi alla razionalizzazione di una politica di potenza che rinvia automaticamente al concetto meinkampfiano di spazio vitale. Che – ecco il collegamento con il realismo criminogeno – si compiace dell’uso della forza, quindi del male, presentandolo però come inevitabile frutto di un “oggettivo” interesse vitale, che invece rinvia di fatto alla politica di potenza, “soggettiva”, chiudendo così il cerchio della legittimazione ideologica di un’azione criminogena.

A fronte di tutto questo l’Occidente resta inerme, come un poliziotto corrotto o imbelle che preferisce guardare altrove, o comunque non esporsi o perché timoroso o perché a libro paga. E che quando decide di fare qualcosa, di opporsi a Putin  seppure timidamente, viene subito indicato come il colpevole, o peggio ancora un pazzo guerrafondaio alla dottor Stranamore.  E da chi? Piaccia o meno la terminologia, dagli avvocati che difendono il clan mafioso.

Se l’Occidente euro-americano ha una colpa, la si può ravvisare, nel non aver messo in sicurezza l’Ucraina a far tempo dal 2014, aprendo le porte della Nato e dell’Unione europea. E non per le esclusive ragioni di un enfatizzato spazio vitale euro-americano, come proclamano gli avvocati di Putin, ma per ragioni di libertà: perché su invito del popolo ucraino. Fatto innegabile.

Ora però potrebbe essere troppo tardi. Il conflitto, se conflitto dovesse essere, poteva essere evitato schierandosi da subito, anni fa, con l’Ucraina. Adesso invece tutto è più difficile: tra la Nato e la Russia c’è una disparità di forze convenzionali sul campo a favore di quest’ultima. Distanza non facilmente colmabile, soprattutto se la guerra esplodesse all’improvviso. Di qui il rischio, in caso di difficoltà militari-convenzionali di un possibile ricorso ad armi non convenzionali da parte della Nato sul suolo europeo.

Poiché, al momento le ipotesi pacifiste di ravvedimento o caduta di Putin, quanto a realizzazione, sono molto remote, non restano che due strade: a) cedere al realismo criminogeno di Putin in nome di un realismo  a quo, immerso nel presente, che guarda alle conseguenze immediate; b) oppure accettare la sfida, rischiando un conflitto generale, in nome di un realismo  ad quem che guarda al futuro e alle conseguenze di lunga durata. Il realismo  a quo, guarda all’etica delle responsabilità, quello  ad quem all’etica dei principi, per dirla con Weber (**).

Churchill nel 1940, e dobbiamo tuttora essergli grati, ancora incerto sulla possibilità di un intervento americano, rifiutò orgogliosamente le offerte di pace di Hitler. Guardò lontano, accettò la sfida della libertà, in nome di un realismo  ad quem. Rischiò.

Certo scegliere non è facile. Però, quello che non si deve assolutamente fare, comunque la si pensi, è dare ascolto agli avvocati della mafia, lupi in veste di agnelli, che difendono altri lupi.

Carlo Gambescia

(*) Sul punto rinviamo al nostro Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio 2019, pp. 41-49 (https://www.ibs.it/grattacielo-formichiere-sociologia-del-realismo-libro-carlo-gambescia/e/9788876067853 )

(**) Ibid., pp. 23-26.

 

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