mercoledì 2 marzo 2022

Pacifismo, una riflessione metapolitica

 


Da giorni, non solo su queste pagine, mi interrogo, ponendomi la stessa domanda che Edith Bruck, proprio ieri, ha rivolto a un gruppo di studenti(*) :

“Il problema è che non conta la vita umana. Non capiscono che stanno buttando la cosa più preziosa – ha ribadito ancora – È possibile che l’uomo non abbia imparato niente? Ripete gli stessi errori, è desolante, un dolore enorme per me che ho vissuto la guerra peggiore”.

Sì, l’uomo non ha imparato niente. La pace purtroppo si deve sempre volere in due. Hitler, il grande aggressore, venne sconfitto sul campo. Se Israele, rinunciasse a difendersi, in un attimo sarebbe aggredita e cancellata dai popoli ostili che la circondano. L’Ucraina, che non è armata a sufficienza rischia fortemente di soccombere dinanzi all’aggressione russa.

Pertanto, inutile interrogarsi, sulla capacità dell’essere umano di fare esperienza, se si vuole tesoro, delle sue passate esperienze, soprattutto le peggiori.

Piaccia o meno, storia, antropologia e sociologia, insomma la metapolitica, insegnano che i comportamenti umani sono ripetitivi, e in questo senso lo sono anche i comportamenti sbagliati dal punto vista etico, diciamo di un’etica della pace. Apportatrice di un nobilissimo punto di vista, ma totalmente inutile per incidere sui meccanismi sociali della coazione comportamentale a ripetere anche gli errori.

Interessante, ai fini del nostro ragionamento, anche un altro passaggio del suo intervento:

“La pace si costruisce avvicinando e rispettando gli altri, di qualsiasi fede o colore siano, senza pregiudizi. Senza odio. Ormai l’odio è sparso in tutto il mondo, in tutta Europa”.

Il punto purtroppo è nel fatto che gli altri non sempre si lasciano avvicinare. Il pregiudizio, purtroppo, è una componente dell’identità delle persone, una guida sicura al comportamento, nel bene e nel male, quindi anche quando è sbagliato e semina odio.

Sul piano morale, esistono pregiudizi buoni, come il pregiudizio pacifista, e pregiudizi cattivi, come il pregiudizio bellicista. Sul piano sociologico esiste invece solo il pregiudizio, che per essere tale, non può che basarsi sulle differenze di idee, giuste o sbagliate che siano. Diversità che rinviano a ineliminabili tradizioni storiche, culturali, sociali, spesso in contraddizione tra se stesse e con la morale dei pacifisti.

Dal punto di vista morale quanto stiamo per dire può apparire riprovevole, ma non lo è dal punto di vista sociologico: ciò che per gli uni è odio, per gli altri è amore. Si uccide per amore verso i “propri” e per odio verso gli "altri"… E’ triste ma è così. L’antico dio degli eserciti e della città si è laicizzato nel moderno dio delle nazioni. E tutto continua come prima.

Per eliminare il pregiudizio, andrebbero eliminate le differenze, e la nazione è solo una delle incarnazioni storiche della differenza, incarnazioni sempre risorgenti, che rinviano alla costitutiva socievolezza-insocievolezza dell’uomo, che vuole essere uguale e diverso al tempo stesso.

Ma poi, come eliminarle? Se, come detto, i comportamenti umani sono ripetitivi anche di quelle differenze errate sotto il profilo morale?

Al riguardo riportiamo un’ultima osservazione della scrittrice:

“Che cosa sta accadendo nel mondo? Non trova pace l’uomo, forse prima deve trovare pace in sé stesso e poi pacificarsi con il prossimo. Non so cosa pensare, è molto triste soprattutto per i giovani. Tocca a loro, che vadano fuori, manifestino, non tacciano perché il futuro è loro”.

Il “concetto di pace con se stessi”, nobilissimo sotto l’aspetto individuale, non ha alcuna rilevanza sociale.

Il passaggio dalla pace individuale alla pace collettiva può valere, spesso a fatica, per un piccolo gruppo sociale. Ma quando si passa dal livello microsociologico a quello macrosociologico intervengono i fattori legati al pregiudizio e alla coazione a ripetere: siamo davanti al conflitto tra identità individuale e identità sociale, praticamente insolubile. Un singolo individuo può predicare la pace, ma una società può essere per la guerra, e viceversa.

Il punto è che non esiste uniformità di pensiero né di comportamento. La differenza, giusta o sbagliata che sia, nutre il pregiudizio, e il pregiudizio si nutre della differenza. Per giungere alla pace universale, diciamo a una specie di stato stazionario in cui tutti sono per la pace, si dovrebbero eliminare tutte le differenze. E in qualche misura i differenti… Diciamo i cattivi. Come però?

La stessa scrittrice propone ai giovani di manifestare, quindi di assumere un atteggiamento oppositivo. L’opposizione è un comportamento dissociativo che indica un contrasto tra interessi e convincimenti diversi, quindi tra pregiudizi differenti. Perciò il pacifismo, in contraddizione con se stesso, non esclude il conflitto, seppure sul piano della manifestazione collettiva di un dissenso ideale verso la guerra. Diciamo che il pacifismo, quello in buona fede, spera nella forza dell’esempio della manifestazione non violenta, della resistenza passiva.

Però, come sembra, l’esempio finora non è riuscito a trasformarsi in “pregiudizio” pacifista. È tale solo per alcuni intellettuali e gruppi religiosi. L’unico esempio storico – fino a certo punto, perché poi seguirono violenze inenarrabili tra indù e musulmani – è quello dell’indipendenza dell’India. Ma, come gli storici sanno, i britannici avevamo fatto un passo indietro. La pace, semplificando, la si voleva in due.

E qui ritorniamo al punto di partenza. Per fare la pace si deve essere in due. La Russia, che per prima ha preso le armi, aggredendo l’Ucraina, vuole la pace?

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.agi.it/cultura/news/2022-03-02/ucraina-edith-bruck-uomo-non-ha-imparato-niente-15823732/

Nessun commento: