giovedì 3 marzo 2022

Guerra in Ucraina, le interessanti domande di Iolanda Iovane

 


Ieri Iolanda Iovane, professoressa e brava educatrice, una cara amica di famiglia, mi ha posto su Fb i seguenti quesiti:

«Pongo domande, forse stupide, perché prendere posizioni a favore dell’una o dell’altra parte e perché il governo italiano, già vessato, (impoverito grazie anche all’aberrante gestione covid…), si è intromessa tra i primi inviando armi e presto eserciti, a favore dell’Ucraina (medesima domanda se fosse stata a favore dei Russi)? Giovani a morire, perché se si poteva intervenire (se proprio volevano dare un contributo per la pace) con diplomazia? Perché metterci contro la Russia? Cosa ci guadagna l’Italia se non morti e ulteriore impoverimento? Grazie se vorrai rispondere a queste domande sciocche».

Le domande invece sono molto interessanti. Meritano una replica.

Che le guerre siano fonte di morte è un dato certo. Sull’impoverimento invece sarei più cauto. Dipende dall’esito: ad esempio se vittoriosa e condivisa dalla pubblica opinione, come dalla comunità degli interessi economici, una guerra può essere fonte di arricchimento. È uno strumento – gli altri due, pacifici ma altrettanto discutibili sono la leva tributaria e il debito pubblico – che consente di accrescere il benessere dei popoli, soprattutto quando si sappia  ben governare la pace, anche in favore degli sconfitti, includendoli.

Per fare due esempi, uno lontano e uno vicino, basta riandare con la memoria alla Roma imperiale dei primi due secoli d.C. e all’ Italia e alla Germania, del Secondo dopoguerra. Il famoso ombrello romano e americano ha consentito, il primo più a lungo, periodi di pace e benessere.

Resta però altrettanto provata la capacità della guerra – in attesa del dopoguerra… – di determinare accentramento di poteri, dirigismo economico, militarizzazione della vita civile e  come detto  perdita di vite umane.

Nello specifico, dichiarare guerra alla Russia, ovviamente all’interno del quadro Ue e Nato, comporterebbe, come giustamente nota la professoressa Iovane, perdite sul piano umano come pure su quello della libertà economica e politica.

Va anche sottolineato, cosa non da poco, il pericolo di uno slittamento dalla guerra convenzionale verso la guerra non convenzionale. Come si evince dallo stato di allerta nucleare ordinato da Putin e di rimbalzo evocato anche da Biden.

Quindi esiste il rischio fondato di non giungere ad alcun dopoguerra.

Pertanto, come sembra ipotizzare la professoressa Iovane, l’Italia dovrebbe chiamarsi fuori. Oppure prodigarsi, in linea con la tradizione cristiana dei La Pira, in un’opera di pace, e in prima battuta di assistenza civile alla popolazione ucraina, ora sotto le bombe russe.

Il punto è che l’Italia fa parte di un’alleanza politica e militare. E cosa non secondaria, anzi fondamentale, l’Italia condivide, al di là degli aspetti geopolitici, tecnici, un sistema di vita, valori e interessi, che è l’ opposto di quello russo. Un sistema, il nostro, che i russi hanno sempre accettato a metà: nei termini di una modernizzazione reazionaria, con un occhio al potere assoluto del passato (dalla Russia zarista alla Russia comunista) è un occhio alla moderna razionalizzazione scientifica e militare, ma non dei costumi civili, culturali ed economici.

Perciò, in ultima istanza, è in gioco il nostro sistema di vita e di valori. Che, la Russia, per ammissione dello stesso Putin e del suo establishment, rifiuta e disprezza, ritenendo l’Occidente debole e corrotto.

Certo, sull’Ucraina si può chiudere un occhio, lasciando che i russi regolino i conti da soli. In fondo, un eccellente analista come Samuel P. Huntington, non certo un agnellino, riteneva che l’Ucraina fosse Oriente e Occidente al tempo stesso. Come dice la parola stessa, terra di confine (sul confine, u krajna). Una “faglia” fonte solo di guai, non facilmente inquadrabile, quindi un terreno minato a rischio “scontro di civiltà”, senza per questo, appartenere a “una civiltà” definita. Una causa persa in partenza, insomma.

Perciò Huntington, che non era proprio l’ultimo arrivato, consigliava già trent’anni fa di chiudere un occhio…

In effetti, che importa all’Italia e al mondo occidentale di quaranta milioni di ucraini sotto le bombe? Si pensi a noi: all’ epidemia, pardon pandemia, ai guai economici, alla riforma del catasto, alla codificazione sindacale dello smart working, alla dieta, a dove andremo a mangiare domenica. Andare avanti. Primum vivere.

Però i sistemi di vita e di valori tra Russia e  Occidente restano sempre differenti e conflittuali. Certo, si può coesistere, concedendo qualcosa, poi di nuovo qualcosa, di seguito ancora qualcosa, e così via.

Fino a quando?

Carlo Gambescia

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