In uscita gli scritti giornalistici di Renzo De Felice
Storico anti-Giacobino?
Grande
notizia per i cultori, come si diceva un volta, di storia patria. E non solo.
Escono, finalmente, gli scritti giornalistici di Renzo De Felice, scomparso venti anni fa, il 25 maggio del 1996:
"Gli 'Scritti giornalistici' di Renzo De Felice vengono pubblicati
in tre volumi da Luni Editrice nel ventesimo anniversario della scomparsa dello
storico, considerato il maggior studioso del fascismo, morto il 25 maggio 1996 a Roma. L'imponente
progetto comprende la pubblicazione di circa 300 tra articoli e saggi, ormai
introvabili, che rappresentano dunque per la maggior parte degli inediti. Il
primo volume, 'Dagli Ebrei a Mussolini 1960-1977', in due tomi con introduzione
a cura del giornalista Stefano Folli, esperto di politica e di storia dei partiti,
sarà presentato il 13 maggio al Salone del Libro di Torino e il 19 maggio alla
Biblioteca Sormani di Milano. L'iniziativa è costata tre anni di ricerche e
studi che hanno coinvolto lo storico Giuseppe Parlato, allievo di De Felice e la Fondazione Ugo
Spirito e Renzo De Felice, di cui il professore è presidente." (1)
Che
dire? Innanzitutto, speriamo quanto prima di poter sfogliare il primo tomo. Fatto
epidermico, di tatto, di pelle, prima che intellettuale. Altro che i frigidi e-book... Cosa
aggiungere? Si tratta di un’impresa
meritoria, come si legge, curata da
Stefano Folli e Giuseppe Parlato.
Di Folli, nulla togliendo all’acuto
editorialista politico, si può dire, che non è sicuramente un
Riccardo Cuor di Leone. Se negli anni Settanta si fosse trovato nei
panni di De Felice, investito dal tiro alzo zero di una sinistra storiografica,
ancorata alla lectio del Comintern, egli avrebbe sicuramente capitolato, reindirizzando gli
studi sui repubblicani dell’Ottocento. Tema forse più consono e soprattutto
meno pericoloso per un ex portavoce di
Spadolini. Perciò siamo curiosi di leggerlo. Probabilmente,
visto che la sinistra marxista è morta e non lotta più insieme a noi,
qualche calcetto al suo cadavere, ora
Folli lo darà.
Di Parlato, si può dire, che dopo Francesco
Perfetti, rimane il migliore allievo di un De Felice, come dire, vu de
droite. Parlato è autore di libri
importanti, storico rigoroso, conversatore piacevole, uomo coraggioso. Di calci
al corpaccione della sinistra marxista, ne ha
dati, e tanti, quando ancora era viva e vegeta. Il che ha implicato un prezzo accademico. Sarà molto interessante leggere le sue note, soprattutto
alla luce del successivo sbandamento storiografico
degli avversari marxisti di De Felice, oggi addirittura dediti alla
rivalutazione dell’Anti-Risorgimento reazionario.
Sul
De Felice “giornalista”, al di là dei
contenuti sempre interessanti, nutriamo
però dubbi. Lo stile, infatti, lasciava
molo a desiderare. La lettura dei suoi pezzi era ed è faticosa, talvolta devastante.Al riguardo si legga l’interessante testimonianza di Enzo Bettiza:
“Montanelli
, storico non professionale, apprezzava tuttavia l’incessante lavorio di talpa scavatrice
e ricercatrice che De Felice svolgeva tra le fonti smarrite e i cunicoli
occulti del fascismo. Capiva altresì l’importanza di avere un De Felice fra i
collaboratori più illustri del ‘Giornale’.
Ma inorridiva ogni volta che i tortuosi
e infiniti dattiloscritti dello storico
planavano sulla sua scrivania, costringendolo a tagliarne le frasi
più prolisse, a raccorciarle, a disseminarle di punti e virgole, sempre
attento però a non tramutare l’indispensabile lima stilistica dell’editore
nella forbice del censore.” (2)
Insomma,
per dirla fuori dai denti, De Felice
scriveva maluccio. Come si evince anche
da certi lunghissimi periodi - talvolta intere pagine - della biografia dedicata a Mussolini. Che, comunque
sia, resta un monumento storiografico
(non al duce si intende, come invece scrisse un malevolo recensore).
Solo tre punti conclusivi.
Uno, non dubitiamo, che i curatori, ovviamente a conoscenza della pagina di Bettiza, abbiano tenuto conto nel lavoro di collazione, sulla base degli originali di certo in
possesso della Fondazione, dei
tagli imposti da Montanelli. Anche perché si trattava (e si tratta) di approfondire un
curioso capitolo di storia dei rapporti, non sempre idilliaci, tra giornalismo e storiografia, occasionalmente prestatasi, come
dire, alle cronache culturali.
Due, come si legge, la raccolta sembra escludere il De Felice cantimoriano,
acuto studioso del Giacobinismo sul
versante italiano. Ora, non sappiamo se
lo storico reatino si sia speso sul
piano pubblicistico anche in argomento. Forse no, perché all’epoca ancora giovane, poco noto e appetibile. Però, sarebbe interessante,
qualora esistessero contributi giornalistici, raccoglierli.
E per un ragione storiografica, punto tre: il legame - certo tutto da indagare, o comunque approfondire - tra il De Felice, storico del Giacobinismo e il De Felice, storico della Dittatura fascista. Un legame cognitivo, crediamo, fondato su una sua consapevolezza, come dire, talmoniana: che il fascismo pur riprovando (talvolta però con scivolamenti nella civetteria rivoluzionaria) lo "slittamento" dittatoriale e terroristico, in una parola Giacobino, della Rivoluzione francese, ne inverava alcune caratteristiche di fondo, come ad esempio il costruttivismo rivoluzionario (più in linea teorica, verbale e verbosa, che di fatto, ma questa è un'altra storia) (3). Insomma, sotto la dissezione defeliciana del Giacobinismo, nelle sue incarnazioni storiche (da Robespierre a Mussolini, passando per le astratte mitologie emulative dei patetici giacobini italiani), si celerebbe un anti-Giacobinismo di stampo liberale, via Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce, quale filo conduttore dell' opera di De Felice. Ipotesi, forse azzardata, ma comunque, riteniamo, senz'altro suggestiva.
E per un ragione storiografica, punto tre: il legame - certo tutto da indagare, o comunque approfondire - tra il De Felice, storico del Giacobinismo e il De Felice, storico della Dittatura fascista. Un legame cognitivo, crediamo, fondato su una sua consapevolezza, come dire, talmoniana: che il fascismo pur riprovando (talvolta però con scivolamenti nella civetteria rivoluzionaria) lo "slittamento" dittatoriale e terroristico, in una parola Giacobino, della Rivoluzione francese, ne inverava alcune caratteristiche di fondo, come ad esempio il costruttivismo rivoluzionario (più in linea teorica, verbale e verbosa, che di fatto, ma questa è un'altra storia) (3). Insomma, sotto la dissezione defeliciana del Giacobinismo, nelle sue incarnazioni storiche (da Robespierre a Mussolini, passando per le astratte mitologie emulative dei patetici giacobini italiani), si celerebbe un anti-Giacobinismo di stampo liberale, via Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce, quale filo conduttore dell' opera di De Felice. Ipotesi, forse azzardata, ma comunque, riteniamo, senz'altro suggestiva.
Va
aggiunto, infine, che quel gusto metodologico per
le classificazioni fulminanti che ritroviamo nel De Felice storico del fascismo, già si
intravedeva nei suoi studi sui Giacobini italiani, condotti con il maestro
Cantimori. Scelta metodologica che allora suscitò l’ira di Armando Saitta, storico acuto, politicamente a
sinistra, fin troppo arrendevole verso le semplificazioni del marxista Soboul, ma non verso le ardite concettualizzazioni del giovane De Felice, liquidate da Saitta come “ paradigma di scarso valore
storico” (4).
Probabilmente,
l’ antipatia, per così dire, verso De Felice, di una sinistra storiografica marxista ma di stampo giacobino, aveva ed ha radici antiche. Forse proprio nell'anti-Giacobinismo defeliciano. Pertanto, anche questo
sarebbe un tema da approfondire o quantomeno una pista da seguire.
Carlo Gambescia
2)
E. Bettiza, Mostri sacri, Mondadori, Milano 1999, p. 140.
3)
Abbiamo approfondito la questione dell’eredità
giacobina, come costruttivismo politico-sociale, a proposito dei rapporti tra Roberto Michels e
il fascismo, nell' Introduzione, scritta con Jerónimo Molina, a R. Michels,
Studi sulla democrazia e sull’autorità, Edizioni Il Foglio, Piombino (Li),
2015, pp. 3-14.
4) A. Saitta, Problemi storiografici
e orientamenti sulla Rivoluzione dell’89 in Francia e in Italia, Editrice
Elia, Roma 1974, p. 327.
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