Dibattiti
Ebbene sì, non crediamo nella democrazia. Tuttavia, la pensiamo come
Churchill: gli altri sistemi politici sono decisamente peggiori, sicché
facciamo buon viso a cattivo gioco.
Democrazia…
Di che si parla però? In realtà, al di là
della forma di regime o stato, la prima distinzione che riteniamo fondata è di tipo cognitivo: tra retorica politica e realtà, i famosi fatti. La retorica
politica, parla alle emozioni, la realtà
alla ragione. E la ragione, in
particolare quella storica e sociologica, insegna - ecco la seconda partizione
fondamentale, che discende dalla prima - che ogni sistema politico
si suddivide in una minoranza che governa e in una maggioranza che è
governata. Diciamo che la realtà (sociologica e storica) è
aristocratica, la retorica democratica. E che perciò la democrazia è un mezzo disastro... O una mezza verità (retorica). Decida il lettore... Dopo, però.
La vera domanda
Pertanto, la vera domanda non è come mettere in condizione il popolo di governare ma come
metterlo nella (migliore) condizione di
scegliere coloro che lo governano.
Si
dirà, allora - se la realtà è
aristocratica e la retorica democratica - come mai i governi democratici hanno sostituito i
governi aristocratici? Come mai, insomma,
non siamo più governati - almeno in Occidente - dai nobili? Perché il problema di fondo di
ogni regime politico, non è la
forma politica (le istituzioni) ma la
sostanza sociale (la selezione e il ricambio delle élite dirigenti). E la nobilità
ha dimostrato - secondo alcuni storici, dopo il Primo Conflitto
Mondiale - di non essere più in grado di esprimere élite
in grado di comandare. Di qui, la piena conquista del potere (in tutto i suoi
gangli) delle élite borghesi, cominciata, grosso modo, all’inizio dell’età
moderna. E per gradi, lentamente.
Il problema fondamentale
Insomma, il problema fondamentale delle democrazie a direzione totalmente borghese e in
chiave popolareggiante (sistema che ha meno di un secolo di vita), è come riuscire a conciliare la retorica democratica (che eleva l' eguaglianza, parificando, ben oltre l'aspetto formale, capacità e impegno) con la selezione delle
élite ( che valorizza l'ineguaglianza, delle intelligenze e delle volontà). Perché, purtroppo, non è affatto vero, sociologicamente parlando, che
l’estensione dell’istruzione e del voto a tutti abbiano migliorato la selezione delle élite (che per secoli, per inciso, avveniva sui campi di battaglia), dal momento che l’istruzione, quando rivolta a tutti,
proprio perché tale, perde di qualità e determina un livellamento che non giova
alla selezione dei migliori, perché si
va a pescare, se ci passa la brutta metafora,
in un lago più grande ma con
pesci più piccoli e meno saporiti. Del resto, lo stesso suffragio
universale, proprio perché si rivolge a tutti, non può non trasformare la
logica politica nella politica della logica. Per usare, la stessa metafora: per vincere si deve promettere una miracolosa moltiplicazione dei pani e dei
pesci ( del famoso lago, che, grande o piccolo, lago rimane...). Sicché diviene logico, non ciò che ha un
valore politico permanente (logica della politica), ad esempio la selezione dei
migliori, ma ciò che è politicamente logico (politica della logica), ad esempio,
promettere tutto a tutti, in barba a ogni criterio selettivo, pur di
vincere “quelle” elezioni politiche. Di qui, purtroppo, il fascino irresistibile della democrazia, legato alla sua mitica promessa di eguaglianza sostanziale (nei punti
di arrivo, uguali per tutti).
Esistono rimedi?
Paradossalmente,
una democrazia, per durare, oltre che su un buon tasso di sviluppo economico,
prodotto da una libertà economica diffusa, dovrebbe reggersi su metodi non
democratici, ma liberali e meritocratici
al tempo stesso, in grado di favorire la
selezione delle élite e degli stessi votanti, pur rispettandone l’eguaglianza
formale (giuridica, dei punti di partenza). Il Churchill, citato all’inizio, in fondo la pensava proprio così. Del resto, non siamo costituzionalisti e non possiamo (né
dobbiamo addentrarci in questo campo). Di
sicuro però, i metodi liberali e
meritocratici non portano voti. Churchill, ad esempio, sconfisse Hitler, ma non gli elettori laburisti.
Contraddizioni
Ci
si chiederà: come mai, allora, da circa un secolo, come dicevamo, siamo
governati dalle democrazie pienamente borghesi, anzi popolar-borghesi?
In
primo luogo, vanno però ricordate le terribili "interruzioni" totalitarie tra le due
guerre. O invece "prosecuzioni" della democrazia con altri mezzi? I totalitarismi di massa, in qualche misura possono essere visti come continuazione
ultrademocratica, plebiscitaria della democrazia nella sua versione diretta, non
rappresentativa.
In
secondo luogo, negli ultimi settant’anni,
hanno giocato a favore delle democrazie gli eccellenti tassi di sviluppo e il benessere diffuso. E, in terzo luogo, paradossalmente, ha giocato un ruolo
importante, di stabilizzazione politica, la decrescente partecipazione politica che ha distinto l’intero Occidente. Meno si partecipa, piaccia o meno, più un sistema politico è stabile. Naturalmente,
i livelli di stabilità, sul piano qualitativo (della "resa"), sono legati alla qualità delle élite
dirigenti. Qualità, che in democrazia, come abbiamo visto, è fortemente a rischio, perché la selezione
aristocratica rappresenta l’esatto contrario delle premesse-promesse (politiche ed elettorali) della democrazia. Pertanto sarà difficile che le attuali
democrazie popolar-borghesi, a basso "rendimento", riescano ad auto-riformarsi, Di qui, il pericolo, magari in nome delle stesse premesse-promesse
democratiche, ma radicalizzate, di nuove "interruzioni" o parentesi dittatoriali se non totalitarie.
Liberalismo aristocratico
Qualche
lettore, concludendo, non approverà questo nostro liberalismo aristocratico, realista, archico, triste, che si rivolge ai migliori in tutti i campi, profondamente diffidente del popolo, in fondo démodé.
Però l’Ottocento, l’età per eccellenza dei “notabili” liberali, come ammette, non Benedetto Croce (sarebbe fin troppo facile), ma Karl Polanyi, avversario del liberalismo, fu un’ età,
tutto sommato, di pace e progresso. L’esatto
contrario del periodo storico in cui
stiamo entrando.
Carlo
Gambescia
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