mercoledì 18 maggio 2016

Dibattiti
Democrazia?
Un mezzo  disastro…




Ebbene sì,  non crediamo  nella democrazia.  Tuttavia, la pensiamo  come  Churchill: gli altri sistemi politici sono decisamente peggiori,  sicché  facciamo  buon viso a cattivo gioco. 
Democrazia… Di che si parla però?  In realtà, al di là della forma di regime o stato,  la  prima  distinzione che riteniamo fondata  è di tipo cognitivo:   tra  retorica politica e  realtà, i famosi fatti. La retorica politica, parla alle emozioni, la realtà  alla ragione.  E la ragione, in particolare quella storica e sociologica, insegna - ecco la seconda partizione fondamentale, che discende dalla prima -  che ogni sistema politico si suddivide in una minoranza che governa e in una maggioranza che è governata.  Diciamo che  la realtà (sociologica e storica) è aristocratica,  la retorica democratica.  E che perciò la democrazia è un mezzo disastro... O una mezza verità (retorica). Decida  il lettore... Dopo, però. 

La vera domanda
Pertanto,  la vera domanda non è come mettere in condizione il popolo di governare ma come metterlo nella (migliore) condizione di scegliere coloro che lo governano.  
Si dirà, allora -  se la realtà è aristocratica e la retorica democratica - come mai  i governi democratici hanno sostituito i governi aristocratici?   Come  mai, insomma,  non siamo più governati - almeno in Occidente -  dai nobili?   Perché il problema di fondo  di ogni regime politico,  non è la forma  politica (le istituzioni) ma la sostanza sociale (la selezione e il ricambio delle élite dirigenti).  E la nobilità  ha dimostrato  -  secondo alcuni storici, dopo il Primo Conflitto Mondiale  -  di non essere più in grado di esprimere élite in grado di comandare. Di qui, la piena conquista del potere (in tutto i suoi gangli) delle élite borghesi, cominciata, grosso modo,  all’inizio dell’età moderna. E per gradi, lentamente.   

Il problema fondamentale
Insomma,  il problema fondamentale delle  democrazie  a direzione totalmente borghese e in chiave popolareggiante (sistema che ha meno di un secolo di vita),  è  come  riuscire a  conciliare la retorica democratica (che eleva l' eguaglianza, parificando,  ben oltre l'aspetto formale, capacità  e impegno) con la selezione delle élite ( che valorizza l'ineguaglianza, delle intelligenze e delle volontà). Perché, purtroppo, non è affatto vero, sociologicamente parlando, che l’estensione dell’istruzione e del voto a tutti  abbiano migliorato la selezione delle élite (che per secoli, per inciso,  avveniva  sui campi di battaglia),  dal momento che l’istruzione, quando rivolta a tutti, proprio perché tale, perde di qualità e determina un livellamento che non giova alla selezione dei migliori,  perché si va a pescare, se ci passa la brutta metafora,  in  un lago più grande ma con pesci più piccoli e meno saporiti. Del resto,  lo stesso suffragio universale, proprio perché si rivolge a tutti, non può non trasformare la logica politica nella politica della logica.  Per usare, la stessa metafora: per vincere si deve promettere  una miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci ( del famoso lago, che, grande o piccolo, lago rimane...).  Sicché diviene logico, non ciò che ha un valore politico permanente (logica della politica), ad esempio la selezione dei migliori, ma ciò che è politicamente logico (politica della logica), ad esempio, promettere tutto a tutti, in barba a ogni criterio selettivo, pur di vincere  “quelle” elezioni politiche.  Di qui, purtroppo,  il fascino irresistibile  della democrazia, legato alla sua  mitica promessa di eguaglianza sostanziale (nei punti di arrivo, uguali per tutti).    

Esistono rimedi?
Paradossalmente, una democrazia, per durare, oltre che su un buon tasso di sviluppo economico, prodotto da una libertà economica diffusa, dovrebbe reggersi su metodi non democratici,  ma liberali e meritocratici al tempo stesso, in grado di favorire  la  selezione delle élite  e degli stessi votanti, pur rispettandone l’eguaglianza formale (giuridica, dei punti di partenza). Il  Churchill, citato all’inizio,  in fondo la pensava proprio così.  Del resto,  non siamo costituzionalisti e non possiamo (né dobbiamo addentrarci in questo campo).  Di sicuro però,  i metodi liberali e meritocratici non portano voti. Churchill, ad esempio, sconfisse Hitler,  ma non gli elettori laburisti.   

Contraddizioni
Ci si chiederà: come mai, allora, da circa un secolo, come dicevamo,  siamo governati dalle democrazie pienamente borghesi, anzi popolar-borghesi?  
In primo luogo,  vanno però ricordate le  terribili "interruzioni" totalitarie tra le due guerre. O invece "prosecuzioni"  della democrazia con altri mezzi?  I totalitarismi  di massa,  in qualche misura possono essere visti come  continuazione ultrademocratica, plebiscitaria della democrazia  nella sua versione diretta, non rappresentativa.  
In secondo luogo,  negli ultimi settant’anni, hanno giocato a favore delle democrazie gli eccellenti tassi di sviluppo e il  benessere diffuso. E, in terzo luogo,  paradossalmente, ha giocato un ruolo importante, di stabilizzazione politica, la decrescente partecipazione politica che  ha distinto l’intero Occidente.  Meno si partecipa,  piaccia o meno,  più un sistema politico è stabile.  Naturalmente,  i livelli di stabilità, sul piano qualitativo (della "resa"),  sono legati alla qualità delle élite dirigenti. Qualità,  che in democrazia, come abbiamo visto,  è  fortemente a rischio, perché la selezione aristocratica rappresenta l’esatto contrario delle premesse-promesse (politiche ed elettorali) della democrazia.  Pertanto sarà difficile che le attuali democrazie popolar-borghesi,  a basso "rendimento", riescano ad auto-riformarsi,  Di qui,  il pericolo, magari in nome delle stesse premesse-promesse democratiche, ma radicalizzate, di nuove "interruzioni" o parentesi  dittatoriali se non totalitarie.

Liberalismo aristocratico
Qualche lettore, concludendo, non approverà questo nostro liberalismo  aristocratico, realista, archico, triste, che si rivolge ai migliori in tutti i campi, profondamente diffidente del popolo, in fondo démodé. 
Però  l’Ottocento, l’età per eccellenza  dei “notabili” liberali, come ammette,  non Benedetto Croce (sarebbe fin  troppo facile), ma Karl Polanyi,  avversario del liberalismo, fu un’ età, tutto sommato,  di pace e progresso.  L’esatto contrario del periodo storico  in cui stiamo entrando. 

Carlo Gambescia                    

                                           

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