giovedì 19 maggio 2016

Elementi per la Cittadinanza
Democrazia?  
Diritti e doveri
di Giuliano Borghi




1.Gli uomini possiedono diritti, ma hanno anche doveri. Gli uni sono in diretta proporzione con gli altri, ed è proprio in questa stringente relazione che gli uomini possono trovare protezione non solo contro il dispotismo totalitario, ma anche dal permissivismo liberale. Diritti e doveri non possono esser considerati indipendenti gli uni dagli altri e gli uni non sono più “naturali” degli altri. Non vi è, insomma, niente di ricevuto o di dovuto, ma tutto è da acquistarsi e da difendersi. Esistono gli uomini, esistono i popoli, quello, invece, che non esiste è l “uomo in sé”. Gli uomini, pertanto, non sono detentori in astratto di “diritti” presunti “naturali”, ma possono disporre realmente di diritti solamente quando questi si ritrovino radicati in una reale appartenenza ad un popolo. Anzi, unicamente quando siano elevati al rango e alla dignità di Cittadini, dimoranti in una Città. Un popolo, una nazione non rispetta i diritti individuali che per quel tanto che essi derivino da sorgenti conformi alla sua storia. Ogni comunità politica, storica e culturale, così, deve vedersi riconosciuto in proprio la prerogativa di specificare la natura delle protezioni che intende assegnare ai suoi membri. E’ la totale sovranità politica, giuridica ed economica che si pone come condizione imprescindibile del rispetto concreto dei reali diritti individuali. Al di fuori della sovranità non vi è garanzia di diritto e neppure libertà. Libertà come appartenenza, come legittimazione del legame che unisce l’uomo alla Città nel preciso significato di Libertà-Partecipazione. Sempre ricordando che si è singolarmente liberi se libero è il popolo al quale si appartiene e che è da questa identica appartenenza  che è possibile trarre una identica capacità di diritti e del loro esercizio. 

2. Va messo bene in rilievo e chiaramente specificato, rispetto alla genericità del termina “ demos”, chi è il popolo, chi è chi con concretezza deve intendersi quale portatore del diritto di appartenere alla città Questo chi non è altro, e altro non può essere altro, che il cittadino responsabile, l’individuo che si è determinato per una ulteriore qualificazione, quella appunto di appartenere volontariamente ed attivamente a una città , in una guisa politica che più correttamente dovrebbe essere chiamata, per questo, politocrazia. Dire politocrazia, implica riconoscere che essa è il regime politico che consacra i diritti politici dell’uomo in quanto cittadino, rifiutare che la cittadinanza possa essere l’esito di un mero dato anagrafico, o di un occasionale ius soli, riconoscere che il suo statuto è unicamente politico e sapere che essa pretende e impone rgorosamente a tutti coloro che cittadini vogliono davvero essere e da cittadini vogliono vivere, una consapevole e attiva partecipazione politica sorretta da un palese assenso, continuamente rinnovato, ad una voluta consociatio politica. La cittadinanza attiva sancisce l’appartenenza a un popolo, vale a dire a una cultura, a una storia, a un destino e all’unita politica con la quale esso si è dato una forma. Cittadino, quindi, può essere solo colui che abita nella Città e proprio da questa appartenenza riceve la possibilità di vivere concretamente da uomo libero. Tutto questo richiede una virtù civica, che ridisegna positivamente la libertà come atto che permette all’uomo di compiere i suoi fini specifici, e non come mera “ assenza di costrizioni”e si lega spontaneamente ad una idea di servizio e di partecipazione, al punto tale che gli individui solamente comportandosi come cittadini possono godere massimamente della loro libertà. La cittadinanza si merita, non si acquista, perché è proprio il suo possesso attivo che rende operative le condizioni per le quali i cittadini, proprio perché tali, possono godere di una eguaglianza di diritti, di possibilità, di doveri, al godimento dei quali non partecipano coloro che non hanno cittadinanza

3. La crescente difficoltà del rapporto tra gruppi etnici diversi, tra cittadini e stranieri, comunitari o meno che siano, pone la domanda su quale possa essere un modello praticabile di accoglienza, saggiamente capace di integrare l’identità con l’alterità, almeno per quanto riguarda quelle genti straniere che manifestano la loro intenzione di prendere dimora definitiva nell’ambito del popolo italiano. Possono sorreggere l’immaginazione, traducendole al presente, due istituzioni giuridico-politiche che nel nostro passato hanno saputo orientare efficacemente, e per lungo tempo, la vita politica e sociale nelle temperie assai difficili e problematiche dell’incontro-scontro con genti straniere: la foederatio e l’ hospitalitas.
Con la prima norma si richiede allo straniero un patto, una conditio sine qua non, di alleanza e di fedeltà alla Città, come condizione necessaria per poter usufruire dei diritti sociali ed economici di prerogativa usuale dei cittadini.
Con la seconda norma si pone un avveduto viluppo di diritti politici, di prestazioni e di contro prestazioni, di compensi per i benefici elargiti, in coerenza con il significato di hospes come “colui che compensa il mio dono con un controdono”. L’istituto giuridico dell’hospitalitas si rivolge, pertanto, agli stranieri ai quali sono riconosciuti diritti eguali ai cittadini, fa proprio il significato di ospite, di hospes, come “colui che è in relazione di compenso” e stabilizza il proprio fondamento sull’idea che un uomo è legato ad un altro uomo dall’obbligo di compensare una certa prestazione della quale è stato beneficiario.
Giuliano Borghi

Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi.  Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.

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