Elementi per
la Cittadinanza
Democrazia?
Diritti e doveri
di Giuliano
Borghi
1.Gli
uomini possiedono diritti, ma hanno anche doveri. Gli uni sono in diretta
proporzione con gli altri, ed è proprio in questa stringente relazione che gli
uomini possono trovare protezione non solo contro il dispotismo totalitario, ma
anche dal permissivismo liberale. Diritti e doveri non possono esser
considerati indipendenti gli uni dagli altri e gli uni non sono più “naturali”
degli altri. Non vi è, insomma, niente di ricevuto o di dovuto, ma tutto è da
acquistarsi e da difendersi. Esistono gli uomini, esistono i popoli, quello,
invece, che non esiste è l “uomo in sé”. Gli uomini, pertanto, non sono
detentori in astratto di “diritti” presunti “naturali”, ma possono disporre
realmente di diritti solamente quando questi si ritrovino radicati in una reale
appartenenza ad un popolo. Anzi,
unicamente quando siano elevati al rango e alla dignità di Cittadini, dimoranti
in una Città. Un popolo, una nazione non rispetta i diritti individuali che per
quel tanto che essi derivino da sorgenti conformi alla sua storia. Ogni
comunità politica, storica e culturale, così, deve vedersi riconosciuto in
proprio la prerogativa di specificare la natura delle protezioni che intende
assegnare ai suoi membri. E’ la totale sovranità
politica, giuridica ed economica che si pone come condizione imprescindibile
del rispetto concreto dei reali diritti individuali. Al di fuori della sovranità non vi è garanzia di diritto e
neppure libertà. Libertà come appartenenza,
come legittimazione del legame che unisce l’uomo alla Città nel preciso
significato di Libertà-Partecipazione.
Sempre ricordando che si è singolarmente liberi se libero è il popolo al quale si appartiene e che è da
questa identica appartenenza che è
possibile trarre una identica capacità di diritti e del loro esercizio.
2. Va messo
bene in rilievo e chiaramente specificato, rispetto alla genericità del termina
“ demos”, chi è il popolo, chi è chi con concretezza deve intendersi quale portatore del diritto di
appartenere alla città Questo chi non è altro, e altro non può essere altro, che il cittadino responsabile, l’individuo che si è determinato per una ulteriore qualificazione,
quella appunto di appartenere volontariamente ed attivamente a una città , in
una guisa politica che più correttamente dovrebbe essere chiamata, per questo,
politocrazia. Dire politocrazia, implica riconoscere che essa è il regime
politico che consacra i diritti politici dell’uomo in quanto cittadino,
rifiutare che la cittadinanza possa essere l’esito di un mero dato anagrafico,
o di un occasionale ius soli, riconoscere che il suo statuto
è unicamente politico e sapere che essa pretende e impone rgorosamente a tutti
coloro che cittadini vogliono davvero essere e da cittadini vogliono vivere,
una consapevole e attiva partecipazione politica sorretta da un palese assenso,
continuamente rinnovato, ad una voluta consociatio politica. La cittadinanza attiva sancisce l’appartenenza a un popolo,
vale a dire a una cultura, a una storia, a un destino e all’unita politica con
la quale esso si è dato una forma. Cittadino, quindi, può essere solo colui che abita nella Città e proprio da questa
appartenenza riceve la possibilità di vivere concretamente da uomo libero.
Tutto questo richiede una virtù civica, che ridisegna positivamente la libertà
come atto che permette all’uomo di compiere i suoi fini specifici, e non come
mera “ assenza di costrizioni”e si lega spontaneamente ad una idea di servizio
e di partecipazione, al punto tale che gli individui solamente comportandosi
come cittadini possono godere massimamente della loro libertà. La cittadinanza
si merita, non si acquista, perché è proprio il suo possesso attivo che rende
operative le condizioni per le quali i cittadini, proprio perché tali, possono
godere di una eguaglianza di diritti, di possibilità, di doveri, al godimento dei
quali non partecipano coloro che non hanno cittadinanza
3. La crescente difficoltà del
rapporto tra gruppi etnici diversi, tra cittadini
e stranieri, comunitari o meno che siano, pone la domanda su quale possa essere
un modello praticabile di accoglienza, saggiamente capace di integrare l’identità con l’alterità, almeno per quanto riguarda quelle genti straniere che
manifestano la loro intenzione di prendere dimora definitiva nell’ambito del popolo italiano. Possono sorreggere l’immaginazione,
traducendole al presente, due istituzioni giuridico-politiche che nel nostro
passato hanno saputo orientare efficacemente, e per lungo tempo, la vita
politica e sociale nelle temperie assai difficili e problematiche
dell’incontro-scontro con genti straniere: la foederatio e l’ hospitalitas.
Con la prima
norma si richiede allo straniero un patto, una conditio sine qua non, di
alleanza e di fedeltà alla Città, come
condizione necessaria per poter usufruire dei diritti sociali ed economici di
prerogativa usuale dei cittadini.
Con la seconda
norma si pone un avveduto viluppo di diritti politici, di prestazioni e di
contro prestazioni, di compensi per i benefici elargiti, in coerenza con il
significato di hospes come “colui che
compensa il mio dono con un controdono”. L’istituto giuridico dell’hospitalitas si rivolge, pertanto, agli
stranieri ai quali sono riconosciuti diritti eguali ai cittadini, fa proprio il significato di ospite, di hospes, come
“colui che è in relazione di compenso” e stabilizza il proprio fondamento
sull’idea che un uomo è legato ad un altro uomo dall’obbligo di compensare una
certa prestazione della quale è stato beneficiario.
Giuliano Borghi
Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi. Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.
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