mercoledì 15 maggio 2013


I cattolici illiberali di “Avvenire”




Oggi sulla prima pagina di “Avvenire” campeggia  un titolo  sui generis  rispetto al resto dei giornali italiani. Il che mediaticamente non è male. Ma di cosa si  parla?  Della  necessità di “liberare la domenica”. E da cosa? Dall’apertura dei negozi. E in che modo? Puntando su un referendum che restituisca alle Regioni il potere d’intervento sulle aperture domenicale degli esercizi commerciali.  Ma leggiamo:

«Liberiamo la domenica»
Depositate 150mila firme
Tre volte di più. Centocinquantamila firme, depositate stamane in Parlamento, per chiedere un referendum che restituisca alle Regioni il potere d’intervento sulle aperture domenicali dei negozi. “Liberiamo la domenica”, la campagna di Confesercenti e Federstrade, che ha avuto anche l’attivo sostegno della Conferenza Episcopale Italiana, della associazioni cattoliche e del mondo sindacale, ha raggiunto in pochi mesi un successo oltre le previsioni. A favore delle domeniche in famiglia circa l’80% dei dipendenti del commercio, le cui testimonianze sono confluite nel libro bianco Il profumo della domenica. Quella per le aperture festive limitate è una firma che serve anche a restituire il valore alla domenica, oltre che a tentare di far sopravvivere le botteghe di città. In apertura del volume, monsignor Giancarlo Bregantini, presidente della commissione Problemi sociali e Lavoro della Cei, ricorda infatti «il grido delle mamme» costrette a lavorare di domenica lasciando i figli in casa e sullo "sfondo la nostalgia per una bella Messa vissuta insieme, una bella passeggiata carica di emozioni d’amore". La liberalizzazione degli orari negli esercizi commerciali non ha portato i risultati sperati, spiega il presidente di Confesercenti Marco Venturi, anzi nel 2013 "chiuderanno 42mila negozi e le famiglie, che nel 2012 hanno già speso 40 miliardi in meno, vedranno contrarre le proprie uscite di altri 13 miliardi".


Cosa dire? Uno, che i cattolici sono liberi di proporre titoli, campagne,  petizioni e referendum su qualsiasi argomento.  Ci mancherebbe altro. Due, che preferiamo non discutere di “libri bianchi” sulla necessità  della chiusura domenicale scritti in sindacalese all’insegna di un’ insalata mista teo-socio-ideologica…
Il problema è di merito. E di cosa si tratta? Che, seppure attraverso l’escamotage del potere decisionale trasferito alle Regioni, si vuole trasformare  una scelta di coscienza in scelta politica erga omnes. Dal punto di vista concettuale  si propone  che un'entità politica ( nel caso la Regione) ricopra  con  un bel coperchio pesante  una questione religiosa...  Il che, francamente, è illiberale.  Come sarebbe altrettanto indigeribile l' obbligo all’apertura erga omnes,  come pretendevano certi presunti liberali dell’Ottocento. Personalmente,  ogni domenica (e non solo) andiamo alla Santa Messa.  Ma  da cattolici liberali   non ci sogneremmo  mai  di   auspicare  che  il  non credente  possa  in qualche modo  essere costretto all'osservare il precetto.  O comunque obbligato a  subire le  altrui scelte politico-religiose.  Insomma,  ci poniamo agli antipodi di quel  cattolicesimo illiberale che "Avvenire" sembra  rappresentare.
Il punto non è aprire o chiudere per legge. Ma lasciare  libere le persone di scegliere. Nessuno discute il diritto del cristiano di santificare la domenica, come per contro quello di lavorare, oppure di celebrare  il proprio credo in qualsiasi altro giorno della settimana. Ma, tale diritto, non può essere imposto per legge a nessuno: cristiano o non cristiano che sia. Perciò massima libertà di aprire o chiudere (e quindi di lavorare o meno anche per il dipendente)  in base alle proprie idee.  

Non si può trasformare un fatto di coscienza in questione politica. Possibile che per certo cattolicesimo sia tuttora così difficile confrontarsi con l’Abc del mondo moderno?

Carlo Gambescia

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