martedì 7 maggio 2013

Giulio Andreotti è morto, lunga vita a Giulio Andreotti




Su Giulio Andreotti,  è stato detto  tutto e il contrario di tutto. Quindi è difficile ricordarlo scrivendo qualcosa di originale.   Proviamoci lo stesso.
In un’intervista a " la  Repubblica" , in occasione dei suoi novant’anni,  il  sette volte Presidente del Consiglio,  si disse certo di salire un giorno in Paradiso. Ma - aggiunse -  “ per la bontà di Dio, non perché me lo meriti” (*).
Il bon mot  riassume l’ essenza dell’andreottismo. E soprattutto di certo moderatismo cattolico, solo per fare due nomi, da Gentiloni a Casini.  Sempre pronto a fare compromessi anche con Dio (e per alcuni anche con il diavolo), pur di restare al potere.
Si dirà, il compromesso è l’essenza del potere, quello reale. Giustissimo. E Andreotti ha interpretato al meglio questa tendenza. In particolare negli anni Settanta-Ottanta del Novecento - periodo che meriterebbe un attento scavo storico - intessendo una rete di rapporti con i più diversi centri di potere, politici e finanziari. Pur di mantenere la Democrazia Cristiana al governo. O comunque al centro dei giochi politici. Si pensi solo all’uscita dal Movimento Sociale di Democrazia Nazionale. Oppure all’appoggio di Berlinguer ai “moderatissimi” governi di “unità nazionale”. Che Moro non riuscirà a vedere. 
Probabilmente,  la   “centralità” politica di Andreotti, frutto di una  straordinaria  capacità di mediazione affinatasi negli anni,   ha contribuito alla  nascita  del   “Mito-Andreotti”, tuttora molto sentito, soprattutto fra gli elettori moderati:  dell'Andreotti   artefice di una saggia politica dei piccoli passi ( ma per alcuni microscopici). Mito ben coltivato dal "Divo Giulio"  con libri, apparizioni mediatiche e contatto diretto (anche troppo) con gli elettori democristiani, grandi e piccoli, come mostra il  film di Sorrentino, meglio di tanti libri di storia.
Negli anni Ottanta e Novanta Andreotti ha dovuto affrontare prima la sfida politica di Craxi, poi la crisi di Tangentopoli e infine le imputazioni per mafia e per omicidio (dalle quali verrà assolto in via definitiva, salvo una prescrizione). In defintiva, Andreotti non rappresenta  l’autobiografia vivente dell’italiano, ma di un certo  tipo di italiano.  Per parafrasare Malaparte: un italiano pronto a lottare, in guerra come in pace, non per non morire, ma per sopravvivere...  
Grazie alla trasmissione ereditaria dell’idea monarchica i re,  anche quando  viene meno la loro persona fisica, non muoiono mai.  Il che spiega  l’evviva collettivo dei sudditi:  “Il re è morto, lunga vita al Re”.  
Cosa vogliamo dire?  Che solo quando scomparirà,  certo andreottismo  collettivo e ideologico,  uscirà di scena  l'  Andreotti, persona fisica,  di turno.
Giulio Andreotti è morto, lunga vita a Giulio Andreotti. Anzi a Enrico Letta.


Carlo Gambescia

(*) http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni.html 

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