giovedì 9 maggio 2013

Il libro della settimana: George Orwell,  Nel ventre della balena, nuova edizione ampliata.  a cura di Silvio Perrella, Bompiani 2013, pp. 380, Euro 10,50   .

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Si legge ancora Orwell? Curiosamente  La fattoria degli animali e 1984  sembrano  tuttora  non dispiacere, forse per il pendant anticapitalista,  al  lettore “indignato”  e  magari  nostalgico del  Muro berlinese.  L’esatto contrario, se ci si  pensa bene,  di ciò che auspicava Orwell.  Il quale  riteneva il  capitalismo un  malato grave ma comunque  curabile.  In che modo?   Iniettando  socialismo democratico direttamente  in vena.   E  se necessario, come in chemioterapia,  in  dosi da cavallo,  senza   però  uccidere il paziente.
Nulla a che vedere insomma con le pericolose  ubriacature leniniste, staliniste, mussoliniane, hitleriane che tanto avevano agitato i combattenti degli opposti  fronti durante la guerra civile spagnola.  Un evento al quale  Orwell,  da  socialista liberale privo però  di illusioni perfettiste,  dedicò il suo libro più intenso, Omaggio alla Catalogna:  testo struggente perché figlio  di  un’intuizione epocale, legata, come ogni maligno fulmine a ciel sereno, alla disillusione maturata e patita sulle riarse pietraie catalane: che fascisti e antifascisti condividevano la stessa  ottusa mentalità  totalitaria. Un'intuizione di quelle giuste, e  perciò  tuttora poco amata  dai  nipotini  di quei nonni in camicia nera e rossa ( o russa):  pacifisti, anti-occidentalisti, decrescisti, rosso-brunisti, rifondatori comunisti, neo-fascisti e compagnia cantante.  I quali  "pescano"  in Orwell, come dicevamo,  solo quel che fa  più  comodo ideologicamente. 
Giunge quindi più che mai opportuna la riedizione della bellissima raccolta orwelliana di scritti letterari e politici ( per giunta resa   più  interessante dall’inserimento di un lungo saggio sulla guerra di Spagna): Nel ventre della balena(Bompiani), a cura di Silvio Perrella. Un volume,  ben suddiviso in quattro sezioni (Sul leggere; Sullo scrivere; Sul credere e sul non credere; Sul vivere e sul morire), che si divora in un pugno  di ore. Un po’ per lo stile colloquiale (ben reso dai traduttori), un po’ per l’ipnotico fascino degli argomenti trattati: autobiografici, critici, artistici, filosofici, sociologici e politici.
La sezione indubbiamente più interessante (almeno per i cultori, come noi,  della  sociologia del potere) è quella politica, la terza. Che si apre con due saggi fondamentali: “Nel ventre della balena” e “Sguardo retrospettivo sulla guerra spagnola”.
Orwell si interroga intorno a una questione fondamentale:  si possono conciliare impegno politico e letterario? Lo scrittore  deve adagiarsi, magari  passivamente,  nel ventre della balena delle grandi  questioni del suo tempo? Oppure chi scrive  deve contrastare il male anche ricorrendo alle armi? O comunque sostenere con la penna la causa dei combattenti ?
Diciamo che Orwell non offre  risposte sicure o vie d’uscita comode, se non quella, apparentemente sommessa,  di provare a conservare, in qualsiasi situazione, il rispetto verso la propria e altrui umanità.  Soprattutto in guerra. E lo spiega alla sua maniera, tra il serio e il faceto, lasciando però il segno: "Un soldato [franchista], che probabilmente recava un messaggio a un ufficiale, balzò fuori dalla trincea e corse in piena vista lungo il margine del parapetto. Non aveva avuto il tempo di vestirsi completamente e si reggeva i pantaloni con ambedue le mani. Non ebbi il coraggio di sparargli. È vero che non sono un tiratore scelto, ed è molto improbabile che, alla distanza di cento metri, riesca a centrare un uomo in corsa. È anche vero che pensavo soprattutto a tornare sano e salvo alle nostre trincee, mentre i fascisti erano stati distratti dagli aeroplani. Ma ciò che mi impedì di sparare fu il particolare dei pantaloni. Ero venuto per colpire un fascista. Ma  un uomo che regge  i pantaloni  che stanno per cascagli non è un fascista, è evidentemente un nostro simile, e questo pensiero mi tolse ogni desiderio di sparargli"(p. 203).
Probabilmente,  a parti invertite, Ernst Jünger, l'Omero delle tempeste di acciaio,  avrebbe sparato lo stesso.  O no?


Carlo Gambescia 

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