mercoledì 22 maggio 2013

Il suicidio di Dominique Venner
e la cultura neofascista italiana


Dominique Venner (1935-2013)

Conoscevamo Dominique Venner. Alcuni anni fa lo avevamo contattato per proporgli la traduzione italiana della sua storia d’Europa. Ma la cosa non andò in porto. Chi era? Sicuramente non un picchiatore (come oggi  si legge su certi imbecilli giornali italiani e francesi). Venner fu uomo coltissimo dal carattere molto spigoloso, fiero delle sue idee non in sintonia con la modernità illuminista.  E di riflesso, capillare studioso degli sconfitti della storia, quelli schierati dalla parte sbagliata: tradizionalisti di ogni colore, sudisti,  russi bianchi (in senso politico), fascisti, nazisti, eccetera.
Parliamo di uno storico di razza, non togato ma  autore di moltissimi libri, tutti scritti molto bene. E di valore decisamente superiore, per capacità di sintesi e profondità,  ai  volumi   pletorici e disorganici di accademici come Franco Cardini,  tanto  per fare un esempio italiano.
Insomma, parliamo di uno storico troppo fine e colto - e meno  attento di Alain de Benoist, di cui era buon amico, al ruolo ipnotico-politico dei rituali “andareoltrismi” - per l’asfittico, indecoroso, muscolare scenario culturale del neofascismo peninsulare.  Infatti,   di Venner  resta,   quale solitaria testimonianza italiana  della corposa opera,    la   traduzione  di un volume  dedicato all’epopea sudista.  Un bel libro.
Probabilmente, il  suo  plateale  suicidio  trova spiegazione in quel fascino per le cause perdute (dall’Algeria francese ai matrimoni gay) che ne  animava l' intenso  lavoro intellettuale:  la scintilla per fare buona storia. Ma anche per uscire fuori dalla storia.  Per sempre,  e con quell' esemplare e toccante eleganza, racchiusa nello speciale  Dna  dei vinti.  Come è avvenuto ieri nella Cattedrale di Notre-Dame.
Resta la nobiltà del sacrificio individuale. O se si preferisce, il giusto onore delle armi verso un uomo che,  senza coinvolgere altre persone,  ha messo fine alla propria vita.  Naturalmente, sarà facile, per molti, parlare di "stile Mishima". In effetti, si può avanzare l’ipotesi della comune visione eroica della vita. Anche se dalla parte sbagliata. Ma l’eroismo,  anche quello esemplare di un suicidio,  si sa, non ha colore.
Di sicuro,  i tanti (troppi) pseudo-intellettuali italiani dal cuore neofascista ma dal portafogli a destra, pur idolatrando Mishima - e ora Venner - si guarderanno bene dal  seguire  le orme dei due scrittori suicidi.  Sembra quasi  di sentirli, ben accomodati   davanti  a un Brunello di Montalcino o  un Nero di Lupo:  "Fascio-nazisti sì, ma con grassa pensione (meglio se due) e badante… Maggiorata s'intende".
Un’ultima cosa. Il suicidio renderà molto appetibile Venner  agli occhi del necroforo Roberto Calasso. Che prima o poi,  per la serie "perle sottratte ai maiali",  si proporrà di   includere lo storico nel catalogo Adelphi…
Altra occasione perduta per l’editoria neofascista italiana. Che oggi però onorerà, senza averne mai letto una riga, il “camerata” Venner.

Carlo Gambescia 

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