lunedì 20 maggio 2013




Gentile donna Mestizia,
la Sua preg.ma rubrica, sempre all’avanguardia nella difesa dei diritti umani, mi pare il luogo più adatto per lanciare una proposta che risolve in radice lo spinoso dilemma ius sanguinis/ius soli, oggi al centro del dibattito politico e culturale. Anzitutto, esaminiamo i punti deboli delle due proposte alternative.
“Ius sanguinis”. Diciamolo: il sangue mette malinconia, perché il sangue tuo quand’è che lo vedi? Quando ti fai male e quando ti fanno una trasfusione, occasioni in cui c’è poco da ridere. Il sangue versato sul campo di battaglia lo lasciamo perdere, perché tanto la leva obbligatoria non c’è più, e chi va a farsi sparare lo fa perché l’ha scelto lui in quanto lo pagano bene. Vero che il sangue inteso come parentela diretta lo vedi quando erediti, e allora in effetti ha un suo perché; ma tanto fra poco i gay potranno sposarsi, e i loro figli saranno in pole position per l’eredità anche senza impicci di emoglobina. Insomma, il sangue sporca, è brutto, è triste, e serve a poco o niente.
“Ius soli”. Intanto, la formula presenta un serio problema di comunicazione: la forte assonanza con “ius solae”, in latino maccheronico “diritto della sòla” (per i non romani: sòla = fregatura). Non sottovalutiamo questi aspetti solo apparentemente marginali: nel mondo di Twitter e dei soundbites il successo o l’insuccesso di una proposta si gioca, in una frazione di secondo, su uno slogan indovinato o no. Poi, il suolo è sporco, a volte pericolosamente sporco: mai sentito le mamme nei parchetti, quanta paura hanno che i loro bambini, ruzzando al suolo, si pungano le manine con una siringa? Magari infetta di AIDS? Non solo: il suolo è molto scomodo. Dicevano un tempo i contadini: “la terra è bassa”, così lamentando la scomoda posizione curva e la pesante fatica fisica richieste dal lavoro nei campi. Insomma, il suolo è sporco anche lui, è pericoloso, è scomodo, è faticoso, e - forse per questo - fa pensare a una fregatura.
A queste considerazioni culturali, se ne aggiunga una politico-economica che a mio modesto avviso taglia la testa al toro: con lo ius sanguinis e con lo ius soli non si becca una lira, pardon un euro. Sangue e suolo, in questa fattispecie giuridica del diritto di cittadinanza, sono desolatamente gratuiti. Che ci vuole a nascere da un sangue x, y, z? Niente. Due perdigiorno italiani se la spassano un quarto d’ora, ed ecco che l’eventuale fantolino, quel raccomandato, si vede gratuitamente assegnata la cittadinanza italiana. D’altronde, che ci vuole a nascere su suolo italiano? Altri due perdigiorno, di nazionalità purchessia, svagatisi anche loro un quarto d’ora, scodellano l’effetto collaterale del loro momento di relax su un metro quadro a piacere entro il perimetro nazionale: ed ecco che, sfruttando la rendita di posizione come una tabaccheria all’angolo, il furbo bimbetto si becca gratis la cittadinanza italiana. E dove sta l’incremento del PIL, tanto agognato in questo momento di grave recessione? Dove l’incoraggiamento all’iniziativa privata? Dove i profitti? Dove il mercato? Dove, insomma, la libertà, dove la scelta, dove la civiltà? Troppo facile e scontato rispondere, tristemente: da nessuna parte. Ius sanguinis e ius soli, questi falsi nemici segretamente complici, rispondono entrambi a una logica premoderna che privilegia il caso e il destino sulla volontà e sulla scelta. Che poi caso e destino si esprimano nella pigrizia del familismo amorale, o nella banale contingenza geografica, che differenza fa? Non producono un nanopunto di PIL nessuno dei due.
E qui passo ad illustrare la mia proposta di soluzione del dilemma, avvisando che è già depositata presso la S.I.A.E. e protetta dalla vigenti leggi sul diritto d’autore, e che adirò le vie legali contro chiunque tenti di attribuirsi la paternità di un’ idea, pur semplice come l’uovo di Colombo, che non esito a definire un vero e proprio salto di paradigma giuridico-politico-culturale, e forse anche, perché no, antropologico.
Si tratta dello “ius aeris”, il “diritto dell’aria”. Come funziona, si chiederà il lettore? Niente di più facile. Ti compri un barattolo d’aria italiana a denominazione d’origine controllata, te lo fai recapitare per posta a casa tua dovunque essa sorga nel mondo, lo dissigilli, ne respiri profondamente il contenuto e sei cittadino italiano. Prego notare le infinite possibilità di marketing racchiuse in questa semplicissima formula. Anzitutto, l’aria italiana dev’essere a denominazione d’origine controllata, prelevata e inscatolata sul suolo nazionale da personale specializzato e autorizzato. La filiera di produzione deve essere attentamente sorvegliata e certificata da una apposita e costituenda Authorithy: propongo il nome di Autorità dell’Aria Italiana, che risulta nell’ acronimo di facile memorizzazione “AAI”. Naturalmente, visto che l’aria italiana è un bene comune nazionale per definizione, lo Stato italiano non mancherà di apporvi il suo sigillo di garanzia e il Ministero del Tesoro la sua accisa, variabile in ragione delle esigenze di bilancio. Sarebbe però contrario all’efficienza e all’efficacia produttiva, nonché alle direttive europee, affidare la produzione dell’Aria Italiana a imprese di Stato: essa sarà invece commessa a imprenditori privati operanti in regime di concessione (e dunque interessati a contribuire generosamente alla stabilità delle istituzioni politiche). Va da sé che nella patria dei cento campanili, la produzione non si limiterà a una generica aria italiana, ma si differenzierà in arie regionali, provinciali, comunali, paesaggistiche, con le relative differenze di prezzatura, di benefit aggiuntivi, e di imposizione locale. Si immagini il vero e proprio assalto dei consumatori internazionali all’ “Aria di Venezia”, che oltre a garantire la cittadinanza italiana assicurerebbe la cittadinanza onoraria della Dominante; all’ “Aria di Firenze”, che renderebbe l’acquirente, per ipotesi birmano, concittadino di Michelangelo Buonarroti e Matteo Renzi; all’ “Aria di Roma”, grazie alla quale il consumatore, mettiamo neozelandese, potrebbe diventare una pecorella del Vescovo di Roma e un elettore della sig.ra Polverini; o l’entusiasmo di tutti gli appassionati delle vacanze al mare o in montagna per “l’Aria del Monte Bianco” o l’ “Aria di Portofino”, di tutti gli amanti dei libri gialli e delle storie di mafie per l’ “Aria di Palermo”, l’ “Aria di Napoli”, l’ “Aria di Calabria”…
Non mi dilungo oltre per non approfittare della Sua cortesissima ospitalità, per la quale La ringrazio sentitamente. La saluto con cordialità, sperando che la mia idea si sia guadagnata la Sua simpatia. Suo
Jonathan Esposito, Posillipo

Gentile Signor Esposito,
che dirLe? La Sua proposta mi sembra una boccata d’aria fresca. I miei auguri a Lei e alle potenze che La ispirano.



Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

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