mercoledì 16 gennaio 2008

Caso Sapienza/ Limiti del laicismo

Il rifiuto del Papa




Si spera che il rifiuto di Papa Benedetto XVI di recarsi alla Sapienza, aiuti a riflettere certo laicismo esasperato sulla natura controproducente dei veti e di certe campagne pubbliche anticlericali in realtà profondamente illiberali. E inopportune, politicamente parlando: d’ora in avanti in Papa, e purtroppo con ragione, potrà considerarsi, in un’Italia nei numeri ancora formalmente cattolica, vittima di una discriminazione politica da parte di una minoranza. Un fatto che dai media e dalle forze politiche e sociali vicini alla Chiesa, verrà presentato come l'inizio di una persecuzione politica.
Ma non bisogna confondere i due piani, quello della libertà di parola, che nei fatti gli è stata negata, e quello delle successive e possibili strumentalizzazioni da parte cattolica. Anche se i due piani sono in parte collegati, perché senza la contestazione dell’invito da parte del Rettore del Papa alla Sapienza, dove del resto avevano già parlato Paolo VI e Giovanni Paolo II, non vi sarebbe ora il rischio di una decisa svolta negativa nei rapporti tra cattolici e laici in Italia: un altro problema che va ad aggiungersi ai tanti sul tappeto.
Oltre a queste di ragioni di “opportunità politica”, ne va però ricordata un’altra di principio. Anche la manifestazione di laicismo più triviale deve essere ammessa. Quel che però non va mai accettato è il collegamento del violento laicismo di piazza, dai tratti spiccatamente anticlericali, alla tassativa richiesta di negare la parola al Papa. Anche in una sede universitaria. Perché se è vero che l’università è luogo d'elezione della scienza e del libero pensiero, è altrettanto vero che in nome proprio della stessa libertà deve essere consentita ai suoi professori la libera scelta di partecipare o meno a un cerimonia presenziata dal Papa.
In buona sostanza, vietare nei fatti al Papa di parlare, significa, tra l’altro, negare proprio in quella "augusta sede, il diritto ad altri (professori e studenti cattolici, o comunque "curiosi") di ascoltarlo. Naturalmente parliamo della libertà di parola e di “ascolto”. Ben diverso sarebbe il nostro giudizio, se ci chiedessero ad esempio di giudicare l’ introduzione nelle università italiane, e in forma obbligatoria per i nuovi iscritti, di un esame di teologia cattolica. La nostra risposta, pur essendo cattolici, sarebbe un no secco. Ci mancherebbe altro.
Ecco, certo laicismo ha mostrato di non aver ancora afferrato la differenza tra la libera manifestazione di una determinata idea, anche se non gradita ma che deve essere garantita a tutti, e l’attuazione, legislativa ad esempio, di quella stessa idea( o comunque di "pratiche" legate ad essa), che non può essere ammessa, soprattutto nel caso che vada a confliggere con le libertà “pratiche” di tutti, garantite dalla legge.
Per una migliore comprensione, facciamo un esempio politicamente non molto corretto ( e che per la sua radicalità scontenterà tutti...). Si può essere anticristiani a parole, anche manifestando in piazza, ma appena si tentasse di mettere in atto il proprio anticristianesimo, magari infrangendo con un sasso la vetrina di un negoziante cristiano "confesso", si dovrebbe essere arrestati e puniti. E ovviamente questo criterio dovrebbe valere anche al contrario: nel caso del negoziante anticristiano, aggredito, eccetera. Perché saremmo davanti non più a una libera manifestazione di pensiero. Ma di fronte a un atto capace di mettere a rischio la libertà “pratica” dell’altro, cristiano o anticristiano che sia.
Certo, nella pratica non sempre può riuscire facile trovare un punto di equilibro, soprattutto nel campo dei rapporti istituzionali, come quelli tra Stato e Chiesa, segnati dall’evoluzione storica dei costumi, dagli opportunismi umani, eccetera. Tuttavia il principio della libertà di parola (e di ascolto) è fondamentale per una società libera. E va sempre difeso ad ogni costo. E in occasione della visita di Papa Benedetto XVI alla Sapienza è andata perduta una magnifica occasione per combattere una buona battaglia. Di libertà, e per tutti.

Carlo Gambescia 

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