venerdì 25 gennaio 2008

La caduta di Prodi (e

il silenzio della "piazza" di sinistra)



Ieri Prodi è caduto nel silenzio generale della “piazza” di sinistra ( girotondini, giustizialisti, ecologisti, pensionati, metalmeccanici, no-global). E questo ha un valore maggiore dei pochi voti venuti meno al Senato. Anche perché il silenzio è solo la punta dell' iceberg, che rivela lo stato di grave stanchezza e disorientamento in cui si trova l' elettorato di sinistra. Del resto i sondaggi da tempo davano il governo in picchiata. E, pur con il beneficio dell’inventario sociologico, chi scrive, nelle ultime settimane, si è trovato a udire, andando in giro in autobus, le gravi lagnanze ad alta voce nei riguardi del governo, di persone che si professavano apertamente di sinistra. Perciò crediamo che la mancanza di consenso “reale”, sia il dato che illumina meglio le ragioni della caduta di Prodi, dopo appena venti mesi.
Il che significa, che nonostante le bottiglie stappate ieri al Senato, il merito della bocciatura non è assolutamente del centrodestra. Le ragioni vanno invece individuate nella politica sostanzialmente antisociale del governo e dannosamente filoamericana ( si pensi alla difesa della legge 30, all'inazione sulla questione rifiuti, alla volontà più volte mostrata di proseguire la “missione di pace” in Afghanistan). Attenzione, parliamo però di un liberismo "di sinistra" pasticcione: perché il governo non ha diminuito le tasse, ancora oggi elevate soprattutto per i redditi fissi minori, ma al tempo stesso ha tagliato la spesa pubblica, provocando vere e proprie derive sociali in settori come la salute, l’istruzione, la ricerca. Guadagnandosi però il sospetto plauso dell’Ue e del Fmi.
Allora non ci si deve stupire, se la piazza di sinistra si sia sentita tradita. E di conseguenza il suo elettorato. Il che però non significa che correrà a votare Berlusconi. Ma non vuol dire neppure il contrario (si pensi, ad esempio, alle frange moderate dell'elettorato di sinistra). In realtà riteniamo più probabile l'astensione.
E questa incertezza spiega il timore del centrosinistra di perdere le eventuali elezioni anticipate. E fa capire pure il desiderio di allontanarle quanto più possibile, gonfiando retoricamente nelle sedi mediatiche l’importanza della riforma elettorale. Per contro, il centrodestra vuole andare subito al voto, sull’onda di sondaggi più che positivi, per presentare la cambiale elettorale all’incasso…
Ora, crediamo, che il vero nodo della questione sia identitario. Che cosa vogliamo dire? Che si può anche cambiare il sistema elettorale, ma che qualsiasi mutamento sarà inutile, se prima la sinistra non avrà fatto luce sulla sua identità sociale. Chiarendo, una volta per tutte, ciò che vuole fare da grande, nonché i suoi rapporti con il centro moderato. Riteniamo, per parlare chiaro, che la sinistra debba puntare su programma spiccatamente sociale. E soprattutto, una volta al potere, realizzarlo politicamente senza indugio, riannodando così il filo del consenso con quelle stesse piazze, che oggi hanno assistito in silenzio alla caduta di Prodi.
Invece dovremo sorbirci la solita penosa recita… E probabilmente la nascita di un governo istituzionale, presieduto - e ci scusiamo per la caduta di tono - del solito politico dalla faccia di bronzo. Prontissimo a “fare le riforme nell’interesse degli italiani”. Ma come? Differendo il referendum, sgradito ai più, e magari garantendo, sottobanco, qualche concessione agli interessi di Berlusconi. Pertanto un governo istituzionale, rischia di durare anche un anno e mezzo…
Se invece si dovesse andare subito al voto, ci pare probabile una vittoria del centrodestra. Che però in quanto a problemi di identità, sembra messo peggio della sinistra. Con una differenza: al contrario della sinistra ha un padrone ben preciso. E che, una volta al potere, saprà far valere solo i propri interessi.

Che tristezza.

Carlo Gambescia 

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