lunedì 7 gennaio 2008

Un articolo di Alessandro Piperno 

Louis-Ferdinand Céline e 

il male del secolo




Non è facile affrontare il male del Novecento che brilla negli occhi di Louis-Ferdinand Céline. Soprattutto se non lo si storicizza, quel male. E ieri Alessandro Piperno non è riuscito neppure ad alzare lo sguardo su di lui... (http://www.corrieredellasera.it/ ).
Innanzitutto parliamo di uno storicismo, abbastanza particolare, che sappia ricondurre le questioni "letterarie" nell’alveo di un prospettiva storica vivente. Capace di farsi cronaca vissuta, o storia, apparentemente infinita, almeno fin quando sussistono, nei singoli e nel sociale, quei problemi irrisolti che ne sono alle radici.
Purtroppo Piperno interpreta Céline attraverso un’altra categoria critica, quella dell’universalismo intellettuale. Ma debole. E come è di moda oggi alla luce di un solipsismo nichilistico.
Ecco la sua tesi. Céline sposa la causa ideologica sbagliata. Tradendo così la sua funzione di scrittore dedito alle professione di quei valori universali, riassunti nella “pietà per la condizione umana”, così ben raffigurata nel corpo a corpo con la morte di Bardamu, il protagonista di Voyage au bout de la nuit il suo primo libro ("uno dei libri del secolo", nota Piperno). Ma in che modo”? Mettendo la sua prosa "scandalosamente raffinata" al servizio dell’antisemitismo nazionalsocialista, prima in Bagatelle per un massacro ("un libro schifoso") e infine nella trilogia del Nord. Uno stile, che proprio perché "prezioso" quasi in misura "oracolare", rese la “troika di libelli” (…) incapace di raccontare il dramma che l’umanità stava per vivere”.
In conclusione a uccidere criticamente il Céline del Voyage fu l’eccesso di stile e non di ideologia… E forse qui, ma è solo un' ipotesi, c'è un che di invidia da scrittore a scrittore... Ma questa è un'altra storia.
Probabilmente per capire Céline ci si dovrebbe immergere nel buco profondo e buio di quel “disincanto nichilista”, così apprezzato da Piperno proprio nel primo Céline. Un disincanto, che invece a nostro avviso, apre e sorveglia il massiccio portale di piombo dell’inferno novecentesco. E che continua a contagiare, dopo essersi riconvertito in scepsi democratica, le “poetiche” letterarie e filosofiche dominanti. Tradotte, così bene, in pillole avvelenate dal cinema d'oltreceano.
Un disincanto, zeppo di antieroi cinematografici miniti di seghe motorizzate, che si potrebbe far risalire al gusto pre-dark di certo tardo romanticismo, a suo tempo sezionato senza pietà da quel chirurgo dell’anima romantica (e delle sue chincaglierie) che era Mario Praz.
Un disincanto individualista e nichilista che inglobando, pur ad altissimi livelli stilistici, “tutto” Céline, si brucia prima nel fuoco del totalitarismo monopartitico, per poi alimentare con le sue ceneri il pensiero debole e/o pulp-massificato dei nostri giorni, altrettanto totalitario con la sua fede nel laissez faire a tutto tondo. Ma divinizzato e condiviso da Piperno. Un pensiero "attuale" che continua a conquistare le menti, perché riproduce in misura stilisticamente perfetta ma senza alcuna pietà - ecco l’importanza del ferro storicista per capire - quella che “deve” essere la situazione esistenziale dell’uomo del Novecento e dopo, fino all’oggi: un essere solo, disincantato, anomico, sospeso tra due nulla: il primo che precede la nascita e il secondo che viene dopo la morte… E quel che è peggio appagato (per difetto) della sua condizione di servo sciocco di altre forze. Terrene.
Un' esistenza apparentemente  brillante nella forma ma grigia nella sostanza. Dove si accendono i richiami immaginifici ma inquietanti di luminose (e per alcuni numinose) cattedrali secolari. E l’antisemitismo può essere uno di questi richiami. Ancora oggi.
Ma non solo. Può esservi anche il triviale messaggio dell'Outlet di un individualismo debole, anomico, magari stilisticamente prezioso. Ma marcio dentro. Anche se fuori si mostra fieramente anarcoide e antiborghese, come era quello di Céline, oppure anarchico-borghese con vezzose curvature dandiste, com’è quello di Piperno. Fatte, ovviamente, le debite proporzioni letterarie e umane tra Céline e Piperno. Nonché tra Roma e Gerusalemme.
Lo stile non è tutto. La storia sì. E per sentirsi in colpa verso di essa è necessario comprenderla. Céline non l'aveva assolutamente capita, ma neppure Piperno. E probabilmente proprio per questa ragione Céline mai riuscì a sentirsi in colpa. Proprio come, oggi, Piperno a scrutarlo negli occhi.

Carlo Gambescia 

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