lunedì 21 gennaio 2008

L'Italia? 

Una federazione di famiglie




Mai come in questi giorni si può avvertire la gravità della crisi italiana. Apertasi “ufficialmente” nel 1992-1994, ma tuttora in atto. In realtà proprio questa lunghezza, dovrebbe far riflettere sulle sue ragioni strutturali.
Sappiamo di prenderla da lontano, e magari annoiare il lettore, ma non possiamo farne a meno. Dal momento che alle origini della crisi attuale ci sono cause storiche e sociologiche. E ne vanno ricordate almeno tre.
In primo luogo, in Italia l’idea repubblicana come religione civile, non mai stata “socializzata politicamente” a livello di massa. Ma lo stesso discorso vale anche per la tradizione monarchica e perfino fascista (la più breve delle tre). Si tratta di una mancanza di affezione sociale alle istituzioni, legata al tardivo conseguimento dell’unità nazionale, avvenuto senza adeguata partecipazione popolare.
Stato e Patria non sono perciò mai entrati nel cuore degli italiani, per usare un’espressione letteraria. Fin dall’epoca post-unitaria gli italiani hanno visto nello Stato e nella Patria solo il Poliziotto, il Soldato, l’Esattore Delle Imposte (figure, del resto, spesso schierate con i ceti socialmente privilegiati). E mai “istituzioni” preposte al buongoverno.
Ancora oggi, come emerge dai sondaggi, il primo valore resta la famiglia, ma in senso particolaristico (“prima noi, poi lo Stato”). E perciò si può parlare di un familiarismo diffuso a livello nazionale e venuto a patti con certa modernità tipicamente italiana (per distinguerlo dal "familismo": si veda più avanti) . Dopo di che, per l’ ”italiano medio” seguono nelle preferenze: le reti amicali e professionali (amici, colleghi e clienti), E attenzione, sono atteggiamenti e comportamenti molto diffusi anche all’interno della stessa classe dirigente politica ed economica dominante. Sempre a caccia di "rendite", spesso immeritate, per se stessi e per i propri familiari e sodali. Rendite ovviamente collegate alle posizioni di potere conseguite. Pertanto il caso Mastella non sarà l’ultimo, di un pur già lunga serie di casi simili.
Su questo parassitismo politico-familiaristico Miglio ha scritto pagine acutissime e documentate, alle quali rinviamo. Quanto all’economia, risulta perfino banale ricordare, che per il capitalismo italiano, gli studiosi hanno coniato il termine di “capitalismo familiare”.
In secondo luogo, come abbiamo già accennato, sul piano locale, anche dove è presente una certa tradizione civica, sono tuttora esclusivamente attive, come strumento di cooptazione politica ed economica, le rete familiari, amicali e professionali: per parenti, amici e colleghi, soprattutto se socialmente cospicui, le “istituzioni” (dai partiti alle banche) continuano ad avere un occhio di riguardo. Il che potrebbe anche essere comprensibile nella gestione di realtà comunali minori, segnate dal faccia a faccia comunitario. Ma non accettabile nelle aree dove le tradizioni civiche sono più deboli, come ad esempio nel Mezzogiorno (terra segnata, secondo un certa tradizione sociologica, da un familismo amorale , addirittura di tipo premoderno, mai venuto a patti con la modernità; quindi familismo per distinguerlo dal familiarismo). E dove l’assenza di un solido tessuto civile continua a facilitare le infiltrazioni di tipo criminale. Promosse da organizzazioni che spesso si muovono su basi addirittura claniche e di antica data. Ancora peggio, quando si passa a livello di Regione e Stato centrale, dove il familiarismo e il clientelismo politico (quest’ultimo consiste nell’estensione della logica fiduciaria familiare al partito politico, spesso anche in senso letterale), impediscono “strutturalmente” di gestire l’amministrazione pubblica e di governo in termini di efficienza, correttezza ed eguaglianza di accesso alle prestazioni. Alimentando negli esclusi uno spirito di rivalsa verso le istituzioni, contrastante con lo sviluppo di qualsiasi senso civico. Dal momento, come si è detto, che lo Stato è visto, almeno far tempo dall’unità italiana, come entità estranea ed eventualmente come dispensatore di favori economici e politici.
In terzo luogo, il sistema dei partiti privo di salde saldi radici rivoluzionarie (come nell’esperienza francese) o di consolidate tradizioni parlamentari (come nell’esperienza britannica) si è praticamente adattato a questa logica familiaristico-clientelare, introducendola in un contesto moderno come finalità: la democrazia rappresentativa, il mercato, lo sviluppo, il progresso. Ma segnato dal punto di vista dei mezzi dall'accettazione di tale logica come “normale” strumento organizzativo e di potere. Il termine non ci piace, ma non si può non parlare di modernizzazione compromissoria.
Il che nelle aree a rischio, produce tuttora pericolose commistioni tra politica e criminalità comune. Mentre nelle altre aree, politicamente meno immature, se ci si passa l’espressione, provoca ancora oggi, immorali matrimoni di interesse tra partiti e capitalismo familiare. E qui, purtroppo c’è un filo rosso che va dallo scandalo della Banca Romana (1892-1894) a quello della Parmalat 2003-2004).
In un quadro del genere, segnato dalla logica familiaristico-clientelare come abitudine collettiva, è difficile suggerire vie d’uscita. Può sembrare perfino banale, ma in Italia la prima cosa a cui spesso si pensa prima di iniziare una qualsiasi azione di contenuto sociale (la ricerca di un lavoro, la prenotazione di una visita medica specialistica, la richiesta di un passaporto, un prestito bancario, eccetera) è trovare una “raccomandazione” nel giro dei parenti, amici, conoscenti, eccetera.
Va inoltre considerato che attualmente la cosiddetta globalizzazione economica tende a dissolvere, in misura crescente, i legami tra cittadino e stato-nazione, persino dove sono ancora ben saldi. Di conseguenza per “l’italiano medio”, ancora oggi così poco “nazionalizzato” e “statualizzato” (se ci passa le brutte espressioni…), in futuro sarà sempre più difficile “socializzare politicamente” i valori di patria, rispetto civico e di buon governo.
E così gli italiani rischiano di trasformarsi in cittadini del mondo... Ma anche qui in modo molto particolare, seguendo la propria “specializzazione”: esportando stilisti, prodotti di lusso e criminalità, su basi rigorosamente familiaristiche. Con il rischio di scivolare lentamente verso la frammentazione politica pre-unitaria. Anche perché l’Unione Europea è considerata dagli italiani come un pura e semplice appendice economica.
Inoltre questo progressivo processo di “denazionalizzazione” e “destatualizzazione”(altre brutte espressioni) potrebbe addirittura rendere in termini economici troppo costoso il mantenimento di una classe politica autoctona. E spingere, suo malgrado, il capitalismo familiare italiano a puntare per la “sicurezza” interna ed esterna su partner politici stranieri, magari anglo-americani (perché ritenuti più dinamici e sicuri sul piano organizzativo). Fino al punto - ecco il rischio più grande - di considerare superate e costose le elezioni politiche. E non è "fantapolitica", perché dietro le attuali violente polemiche confindustriali sulle “caste” politiche si scorge un progetto del genere.
In questo modo l’Italia rischia di tornare ad essere ciò che era nell'Alto Medioevo: una federazione di famiglie. E non è una battuta.

Carlo Gambescia

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