Di tutta la banda di fascisti al governo – non passa giorno che non salti fuori qualche foto compromettente, con busti, cori, pistole – Alessandro Giuli è indubbiamente il più colto.
Sarà che l’abbiamo conosciuto di persona, quando giovanissimo scalava con intelligenza le alture evoliane, ma il personaggio (lo si guardi solo come si veste) merita.
È di mente sottile, forbito nel linguaggio, elegantissimo, come un catalogo di Franco Maria Ricci buonanima. Però non è un innocuo dandy, come spesso si dice. Giuli ricicla il Ventennio estetizzante, un po’ Pitigrilli, un po’ D’Annunzio, ma anche macho, diciamo pure mussoliniano.
Si pensi a questa storia degli stivali. Giuli non li calza per la prima volta. Ieri Bologna, qualche mese fa Ercolano.
Proprio come Mussolini, il primo in particolare, che amava vestirsi da domatore di circo equestre: mezzo militare, mezzo civile.
Il Duce adorava gli stivali. Che poi non abbandonò più fino al sanguinolento montacarichi umano di Piazzale Loreto.
Mussolini, secondo Augusto Del Noce, resta il solipsista per eccellenza: tutto ruotava attorno a sé, al proprio mito, alla propria teatralità del potere. E gli stivaloni facevano parte del pacchetto.
Poteva un uomo come Giuli – lettore attento di Machiavelli e conoscitore profondo delle debolezze umane – farsi scappare un’occasione simile? Sapeva esattamente come muoversi, come riciclare il mito del Duce senza destare sospetti, e ne fa buon uso.
I giornaloni, guancia a guancia con il centro-sinistra, hanno guardato altrove. Persino “Dagospia” ne ha criticato lo stile, evitando accuratamente accostamenti poco giudiziosi con il Duce in versione circo Orfei.
Il gesto di Giuli richiama, per ironia e mondanità, la “goduria simbolica” di un’epoca raccontata da Gian Carlo Fusco in Le rose del Ventennio, dove il fascismo appare tra il grottesco e il mondano, tra il potere “maschio” e il piacere ostentato. A metà strada tra l’epoca di Cesare e quella di Messalina.
Probabilmente Giuli, come il Frate Timoteo nella Mandragola, lo sa: per ipocrisia, paura, ignoranza nessuno richiamerà il Duce. E allora osa. Ricicla il Ventennio del Duce, come scriveva quel ruffiano di Malaparte, dove “Spunta il sole e canta il gallo /o Mussolini monta a cavallo.”
Il resto, come sempre, è silenzio.
Carlo Gambescia



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