venerdì 14 novembre 2025

Migranti. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Giorgia Meloni e l’amaro ritorno dei campi per gli invisibili

 




Titolo melodrammatico?  Il lettore ci segua fino in fondo e capirà. Perché si tratta di dramma. Dramma storico, purtroppo. 

C’è un filo che non avremmo mai voluto vedere riannodarsi. Un filo sporco, di quelli che la storia dovrebbe aver tagliato per sempre. 

E invece eccoci qui: ieri Giorgia Meloni, tutta sorrisi e pacche sulle spalle, presenta il “modello Italia” per la gestione dei migranti, accompagnata dal premier albanese Edi Rama, trasformato per l’occasione nel custode esternalizzato della nostra frontiera morale. L’annuncio: l’Unione Europea apprezzerebbe la trovata. E Meloni lo rivendica come un vanto nazionale. Complimenti (*).

Ora basta guardare la cartina geografica per capire cosa sta succedendo. Non servono paroloni. Basta ricordare come funzionava la logica dei campi dei campi di concentramento e di sterminio nazisti: non il male assoluto in sé, ma la geografia, la logistica dell’invisibilità, lo spostare i corpi lontano dagli occhi e dalle coscienze. 

Era questo il punto: nascondere. Sigillare. Tenere a distanza. E cosa stiamo mettendo in piedi oggi? La stessa architettura logica, depurata naturalmente dall’orrore dello sterminio, ma identica nella funzione: i corpi che disturbano vanno spostati, o meglio "concentrati" altrove. Lì, dove il cittadino medio non vede, non sente, non sa. Dove basta una dichiarazione del governo per dire che “va tutto bene” (**).





I nazisti, soprattutto per i campi di sterminio, avevano scelto la Polonia occupata. Noi scegliamo l’Albania. Non è sterminio ovviamente, però il principio è lo stesso: se la presenza umana è ritenuta disturbante, la si allontana dal contesto sociale che deve restare “pulito” e tranquillo. 

Meloni può anche dire che è un successo diplomatico. Che l’Europa applaude. Ma resta il punto: la politica dell’invisibilità è tornata, travestita da gestione moderna dei flussi. E la cosa più allarmante è che non lo si nasconde neppure più: è motivo d’orgoglio, come se la distanza geografica fosse sinonimo di efficienza politica.

A questo punto conviene chiamare le cose con il loro nome. La grandi strutture per migranti, in stile Rebibbia, costruite in Albania non sono semplicemente un “centro” o un’“area di accoglienza”. È, sociologicamente parlando, un dispositivo di esternalizzazione del controllo sociale: una struttura pensata per allontanare fisicamente e simbolicamente i corpi indesiderati dal territorio dove la loro presenza genererebbe conflitto politico. Parliamo di una tecnologia dell’invisibilità. Qui il migrante non è più un soggetto sociale, ma un oggetto amministrativo, sospeso in una zona liminale dove i diritti sono temporanei, condizionati o differibili.



Il criterio guida è uno: de-socializzare. Tradotto: togliere di mezzo, spostare, neutralizzare la presenza. È questo il cuore del progetto. Non la sicurezza. Non l’ordine pubblico. Ma la gestione burocratica dell’alterità tramite distanza, secondo il principio eterno: se non si vede, non esiste.

La premier ha parlato dell’accordo come di un “modello europeo”. E qui il sarcasmo diventa dolore. E anche rabbia: se il nuovo europeismo consiste nel delocalizzare esseri umani, allora sì, siamo in un’altra epoca buia. 

Si pensi ai padri italiani della nuova Europa liberal-democratica: un Altiero Spinelli, prima in galera poi segregato al confino. Come Ernesto Rossi condannato a vent’anni, dopo di che confinato. La loro odissea, iniziata alla fine degli anni Venti finì nel 1943. E con loro tanti altri: invisibili che  però daranno vita all’ Europa dei visibili. E ora che si fa? Marcia indietro. 





Si va purtroppo aprendo una stagione dove la dignità umana è negoziabile, trasferibile, appaltabile. Gli ebrei venivano allontanati per essere cancellati dalla vista. I migranti vengono allontanati per essere cancellati dal discorso pubblico. Logiche diverse, stesso risultato simbolico: i corpi diventano fastidi da spostare, non vite da proteggere.

La cosa paradossale è che una parte della sinistra sembra troppo impegnata a cercare il pelo nell’uovo su Israele per accorgersi che, qui da noi, stiamo costruendo laboratori politici che giocano con un fuoco vecchio, antichissimo. Non un articolo, non un dibattito, non un’analisi che abbia messo in luce l’elemento più inquietante: la destra italiana sta reinventando, in chiave contemporanea, la logica dell’invisibilità su cui sono state costruite alcune delle peggiori pagine del Novecento. Non è questione di equiparare. È questione di riconoscere gli schemi, di vedere quando la storia non insegna nulla, e anzi viene riciclata con la leggerezza di chi crede che la memoria sia un accessorio da anniversario.



E poi c’è Rama, trasformato in amministratore delegato del retrobottega morale italiano. Lo si applaude come partner affidabile, quando il suo ruolo – al netto del cerone diplomatico – è quello che un tempo avremmo definito senza giri di parole: il custode del fuori scena, l’uomo che tiene a distanza ciò che non vogliamo vedere.

Il vero scandalo non è che Meloni lo faccia. Il vero scandalo è che lo rivendichi come un trionfo della civiltà europea. Ed è ancora più scandaloso che la sinistra balbetti, che il dibattito pubblico arretri, che nessuno dica la cosa più semplice del mondo: quando inizi a spostare i corpi per non vederli, quando la distanza geografica diventa sollievo politico, stai usando un pezzo di logica che la storia ci aveva implorato di non ripetere.

Sì, purtroppo, lontano dagli occhi. E, come sempre, lontano dal cuore.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.adnkronos.com/politica/italia-albania-meloni-rama-vertice-migranti-protocollo_4O3ML5dHEagBTIXmhJnuk .

(**) Sulle varie tipologie di campi nazisti e sulla logica delocalizzante della deportazione, che salta subito agli occhi, si veda I campi in G. Borgognone ( a cura di) Storia della Shoah, volume V. Documenti, Utet, Torino 2006, pp. 317-421.



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