venerdì 29 aprile 2022

Giorgia Meloni e il liberalismo

 


Giorgia Meloni ha proclamato che essere conservatori è un atto rivoluzionario. Frase sicuramente suggerita da qualche consigliere politico, fresco di lettura dell’omonima voce wiki.

Ma il punto non è questo. Partiti politici e scienza politica non vanno d’accordo. La politica è la nemica della sociologia come della vera cultura. E diciamo pure della filosofia della storia. La politica strumentalizza anche il modo di vedere le cose, ciò a cui realmente tendono.

Facciamo un passo indietro. I sondaggi premiano Giorgia Meloni. In realtà, dall’opposizione, quando non è necessario prendere decisioni, quindi scontentare comunque qualcuno, tutto torna facile.

I problemi però sono altri. Due in particolare.

Il primo, fondamentale, rimanda al significato che Giorgia Meloni attribuisce al termine conservatore. Il secondo rinvia al possesso delle doti per governare.

Iniziamo dal secondo. Innanzitutto, quali doti servirebbero? Ne citiamo solo una: la comprensione del proprio tempo. Quel capire – certo, a grandi linee – dove stiamo andando. Ovviamente, alla teoria, poi deve seguire l’azione, che impone altre capacità: dalla forza di volontà al senso di responsabilità.

A dire il vero, la principale virtù politica è quella di comprendere fin dove ci si può spingere, avere senso della misura, insomma. Il politico vero sente il polso del paese, non ha bisogno di sondaggi: conosce la storia e il suo senso profondo. Inoltre, più che promuovere il bene, protegge dal male, quando necessario. Il vero governante, governa il meno possibile.

Ora, per tornare a Giorgia Meloni, le sue idee sono conservatrici o reazionarie? Si proclama dalla parte di dio, della patria e della famiglia. Quindi?

A proposito delle doti per governate dicevamo che un buon politico sa fin dove si può spingere, perché conosce, per così dire, le linee guida del proprio tempo. Un buon politico ha nozioni di filosofia della storia: magari poche ma buone…

Ora, definirsi conservatori nel senso della Meloni significa puntare sullo scontro politico e sociale, soprattutto in un epoca in cui: 1) più che di un dio unico si parla una polifonia valori religiosi e laici ; 2) più che di famiglia si parla di famiglie; 3) più che di patria si parla di cosmopoli. Quindi altro che senso della misura.

Inoltre, cosa importantissina, ciò significa che le idee di Giorgia Meloni non sono conservatrici ma reazionarie. Predicano il ritorno al passato, a una visione illiberale della politica e della società.

Perché, si badi bene, il fondo comune della cultura politica del nostro tempo, che unisce le diverse famiglie politiche, quindi anche i conservatori, autentici, non i reazionari come Giorgia Meloni, è di tipo liberale.

Che poi ovviamente viene interpretato in chiave conservatrice o progressista, ma all’interno di una comune tavola di valori, che permette di accettare le diversità e le differenze culturali.

Se esiste una discriminante tra conservatori liberali e progressisti liberali, la si può rinvenire, nei modi di organizzazione delle differenze. Il conservatore liberale, lascia che si organizzino da sole, spontaneamente e liberamente, il progressista invece punta sul ruolo dello stato e di una soffocante legislazione in materia.

Per capirsi, il conservatore liberale è per il pluralismo sociale, il progressista liberale per il multiculturalismo di stato. E il reazionario si chiederà il lettore? Proprio come la Meloni non è per l’uno, né per l’altro: il reazionario sposa la causa del monismo culturale.

Per metterla sul dotto, le origini ideologiche del conservatorismo liberale risalgono a Tocqueville, mentre per il conservatorismo progressista a Rousseau, infine per il pensiero reazionario rimandano a Bonald e de Maistre. Una tripartizione classica che Giorgia Meloni, come il borghese gentiluomo di Molière,  ignora. Probabilmente parla in prosa, insomma è reazionaria, senza neppure saperlo… Patetico.

Per fare un altro esempio, sulla decisione di porre fine alla propria vita, il conservatore liberale lascia massima libertà ai singoli di “organizzarsi” liberalmente, mentre il progressista liberale, vuole imporre una minuta legislazione in materia che tenga conto di tutte le differenze culturali. Per contro il “conservatore” alla Giorgia Meloni si oppone in ogni caso, evocando proprio i sacri valori di dio, patria e famiglia che rinviano alla monocultura del prete benedicente eserciti e balilla.

E qui viene alla luce un nodo politico insoluto, importantissimo: quello dell’ambiguo rapporto con il fascismo di Fratelli d’Italia. Una questione che al di là della sincerità o meno delle abiure ufficiali rinvia all’ irrisolto rapporto politico con la cultura liberale, mai accettata da fascisti e neofascisti.

Pertanto il conservatorismo meloniano, non è che l’ultima versione di una politica reazionaria che, nel suo fondo, tutto è, eccetto che liberale.

Carlo Gambescia

 

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