sabato 16 aprile 2022

Facebook e il perfettismo

 


A chi voglia avere qualche elemento in più sullo sfacelo politico causato dai Social media, suggeriamo la lettura dell’articolo di Jonathan Haid, psicologo sociale statunitense, “Perché gli ultimi 10 anni di vita americana sono stati straordinariamente stupidi”, apparso su “The Atlantic” (*).

Haid parte dalla seguente premessa.

«Gli scienziati sociali hanno identificato almeno tre forze principali che legano collettivamente insieme le democrazie di successo: il capitale sociale (estese reti sociali con alti livelli di fiducia), istituzioni forti e storie condivise. I social media hanno indebolito tutti e tre. Per vedere come, dobbiamo capire come i social media siano cambiati nel tempo, e soprattutto negli anni successivi al 2009”».

Secondo Haid, dopo un periodo di crescita, segnato dalla fiduciosa attesa di politici ed esperti sulle capacità democratiche dei Social ( grosso modo nei dieci anni precedenti al 2009), si è scoperto con disappunto che la principale funzione del Social sembra diventata quella di seminare odio sociale e feroci divisioni, anche attraverso la circolazione di false informazioni incontrollabili. Di distruggere insomma le tre forze principali di cui sopra.

Cosa è successo? In principio era Facebook… Questa la spiegazione.

«Prima del 2009, Facebook offriva agli utenti una semplice sequenza temporale: un flusso infinito di contenuti generati dai loro amici e connessioni, con i post più recenti in alto e quelli più vecchi in basso. Tutto ciò, spesso, assumeva un volume travolgente , ma in fondo si trattava di un riflesso preciso di ciò che gli altri stavano pubblicando. Le cose iniziarono a cambiare nel 2009, quando Facebook offrì agli utenti un modo per mettere “mi piace” pubblicamente ai post con il semplice clic di un pulsante. Nello stesso anno, Twitter introdusse qualcosa di ancora più potente: il pulsante “Retweet”, che consentiva agli utenti di approvare pubblicamente un post condividendolo anche con tutti i loro follower. Facebook subito imitò quell’innovazione con il suo pulsante “Condividi”, che nel 2012 diventò disponibile per gli utenti di smartphone. I pulsanti “Mi piace” e “Condividi” divennero rapidamente funzionalità standard per la maggior parte delle altre piattaforme. Poco dopo che il suo pulsante “Mi piace” aveva iniziato a produrre dati su ciò che meglio “coinvolgeva” i suoi utenti, Facebook sviluppò algoritmi per portare a ciascun utente il contenuto che più probabilmente generava “Mi piace” o qualche altra interazione, includendo eventualmente anche il “Condividi”. Ricerche successive hanno provato che i post che scatenano emozioni, in particolare la rabbia verso gruppi esterni, hanno maggiori probabilità di essere condivisi.»

In questo modo le piattaforme hanno fatto scoccare nelle persone, da un lato la scintilla dell’esibizionismo, dall’altro quella del moralismo perfettista irriflessivo, tramutatosi presto in rabbia e odio per chiunque la pensasse in modo diverso in tutti i campi, dalla politica al cinema, eccetera.

Sicché la Torre di Babele dei Social, come la chiama immaginosamente Haid, capace di mettere in contatto miliardi di utenti, sembra essere crollata sotto i colpi della socialità insociale ossia del lato negativo della socialità sociale.

Sul punto è interessante una notazione di Haid che riguarda gli Stati Uniti ma che può essere estesa ai sistemi liberal-democratici e in qualche misura alla politica come “arte del possibile”. E non dell’impossibile, come la dipinge la stragrande maggioranza di agitatori e influencer perfettisti sui Social.

«Era proprio questo tipo di rabbia nervosa ed esplosiva da cui James Madison aveva cercato di proteggerci mentre stava redigendo la Costituzione degli Stati Uniti. Gli artefici della Costituzione erano eccellenti psicologi sociali. Sapevano che la democrazia aveva un tallone d’Achille perché dipendeva dal giudizio collettivo del popolo, e le comunità democratiche sono soggette “alla turbolenza e alla debolezza delle passioni ribellli”. La chiave per progettare una repubblica sostenibile, quindi, era quella di costruire meccanismi per diminuire la pressione sulle cose, raffreddare le passioni, puntare su compromessi, fornire ai leader la possibilità di isolarsi dalle manie e mode del momento, pur continuando a ritenerli periodicamente responsabili nei confronti del popolo, il giorno delle elezioni».

Il messaggio di Haid è che la crescita della viralità avrebbe messo in crisi la democrazia liberale. Sicché quanto più ci si scontra sui Social, sulle base tra l’altro di informazioni manipolate, dagli stessi gruppi in conflitto, tanto più ci si allontanerebbe dalla democrazia liberale come arte del possibile. Una sfiducia che, per risalita, secondo Haid, avrebbe coinvolto politicamente destra e sinistra, alimentando l’estremismo, il populismo e una specie di nuova classe dei professionisti della rabbia e dell’indignazione.

Che dire? Le fratture, dove esistono, hanno radici precedenti a quelle della rabbia virale. Il sistema liberale e capitalistico è da sempre forte e debole al tempo stesso: forte, per la capacità di innovare e favorire una buona qualità della vita, debole, perché, consentendo la critica al sistema favorisce, le critiche positive, ma anche quelle, artatamente negative dei suoi detrattori in cattiva fede.

Haid è piuttosto pessimista per il futuro, dal momento che possibili misure di regolamentazione dei Social, punitive verso l’estremismo, potrebbero ottenere l’effetto opposto, di denuncia, ovviamente in malafede, ma comunque efficace, a proposito dei soliti poteri forti e occulti dediti a impedire il libero dibattito, eccetera, eccetera.

Tuttavia Haid sulla scia di Tocqueville, che scorgeva nell’associazionismo americano una risorsa, auspica la nascita di associazioni, anche Social, ma riflessive, quindi capaci senza forzature legislative dall'alto, di escludere gli estremisti dal dibattito politico. Anche perché a suo avviso la maggior parte degli americani sarebbe stanca di questa autodistruttiva guerra per bande.

Il discorso, come dicevamo, può essere esteso, anche all’Europa, dove l’estremismo sociale, come in Italia ad esempio, ha favorito la nascita e lo sviluppo del Movimento Cinque Stelle, del populismo di sinistra in genere, come pure rafforzato l’estremismo di destra a sfondo razzista.

Purtroppo, qui la nostra riflessione, piaccia o meno (a chi scrive non piace), il liberalismo e il capitalismo lavorano contro se stessi. Le persone, non sono naturalmente liberali, né nascono con il gusto della libera impresa. Purtroppo, l’uomo sociale alla libertà sembra privilegiare la sicurezza. Per molti la libertà è un peso. 

Però il moralismo, il giudicare, per ergersi in modo autoritario, sugli altri, sembra non esserlo mai… Lo spirito di superiorità pare essere, per usare il linguaggio da social scientist americano di Haid, patrimonio negativo di tutti i “mammiferi” del genere Homo.

Diciamo allora che i Social hanno amplificato il lato moralistico delle persone. Di qui, non la ricerca di moralità possibili, ma della moralità “perfetta”. Ricerca che sfocia in conflitti mortali tra moralità “perfette”, che rinviano, per un verso a conflitti senza fine, autodistruttivi, e per l’altro, preparano la strada al predominio totalitario di un vincitore, incapace di accettare morali differenti dalla propria.

Purtroppo, il perfettismo, antica malattia sociale dell’uomo, oggi ha la sua pagina Facebook. E fa più danni che mai.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2022/05/social-media-democracy-trust-babel/629369/

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