La replica di Teodoro Klitsche de la Grange
È vero che Rousseau è considerato il “padre” della
democrazia totalitaria moderna, criticato con efficacia da Constant e da
Tocqueville (liberali, come pensa di esserlo chi scrive) ma occorre ripensare,
anche alla luce del pensiero liberale “triste”, certe partizioni.
Senza voler ricordare le considerazioni simili di
altri giuristi, occorre ricordare che Carl Schmitt nella costituzione dello
Stato borghese di diritto (ossia quello liberaldemocratico moderno) vede
l’unione di principi politici e di principi dello Stato borghese (cioè del
pensiero liberale). I primi sono quelli “classici” (monarchia, aristocrazia,
democrazia – ridotti da Schmitt ad identità e rappresentanza) i secondi di
garanzia dei diritti fondamentali e distinzione dei poteri. Carattere dei primi
è costituire (fondare, legittimare) il potere; dei
secondi, di limitarlo.
Resta il fatto che se uno Stato dovesse fondarsi sui
principi di limitazione del potere, cioè a un liberalismo che
Hegel avrebbe, probabilmente, chiamato astratto (o magari “vento che gonfia la
testa”, ossia aria fritta), non esisterebbe perché per limitare un potere occorre necessariamente che questo esista (sia costituito).
Per cui ogni Stato liberaldemocratico è l’unione di
uno o più principi politici (status mixtus) e dei principi dello
Stato borghese. Cosa che molti oggigiorno dimenticano.
Col risultato di ricorrere a improbabili (e
incredibili) succedanei come il potere d’organi giudiziari (Corti
Costituzionali in primis),
d’istituzioni internazionali (tra cui l’Unione Europea), ma occultamente,
l’influenza di “poteri forti” i cui connotati fondamentali sono d’essere
non-pubblici (cioè non istituzioni pubbliche)
e quindi non-democratici. Nel migliore dei casi (cioè l’Unione Europea) la
riferibilità degli organi decidenti alla scelta e alla volontà popolare è,
quantomeno, molto mediata e quindi evanescente.
E se ne vedono i risultati: la volontà popolare,
conculcata e disattesa in tante sedi istituzionali (e non), trova i propri
spazi di decisione ed espressione dove può compiere scelte dirette: nei referendum e nelle elezioni. O rifugiandosi
nell’astensionismo, cioè nell’indifferenza.
Per cui ben venga una maggiore identità (nei due sensi del termine, di
principio politico e d’identificazione nazionale): perché – e qua passo a Smend
– uno Stato che non ha (o ha scarsi) mezzi d’integrazione (e quindi di
partecipazione e di legittimazione del potere) è condannato a deperire e, alla
lunga, a scomparire.
Teodoro Klitsche de la
Grange
***
La controreplica di Carlo Gambescia
Caro Teodoro, grazie innanzitutto per la tempistica:
nonostante i tuoi numerosi impegni ti sei preso la briga, e in
tempi rapidissimi, di rispondere alla mia nota . Ne sono onorato.
Vengo al dunque. Noto subito con piacere
che su Rousseau concordi. Quindi convieni anche che era
inutile chiamarlo in causa. Ci sono pagine di Constant sul “brigante”
Napoleone, oppure di Tocqueville sull’assolutismo rivoluzionario che potevi
citare benissimo in luogo di quel pericoloso lunatico di Rousseau.
Apprezzo.
Quanto alla
questione giuridico-politica
, non mi mettere però in
bocca, se mi passi l’espressione non proprio elegante, cose che non ho detto:
io mi guardo bene dal ridurre il liberalismo a una pura e semplice limitazione
del potere dello stato: a
una dottrina puramente negativa del potere, come liberali micro-archici e an-archici. Né però accetto la visione
positiva del potere
del liberale macro-archico.
Da liberale triste, ormai per antonomasia se mi
permetti, CREDO che al di là, delle questioni legate non
tanto ai concetti, puri o meno, di identità e
rappresentanza (che a mio avviso non esistono se non nella mente di certi
giuristi), quanto del significato concreto, in termini di derivazione,
che viene dato a questi termini ( ma questa è un’altra storia, di
smascheramento…), SIANO il politico, i politici, meglio ancora le
classi dirigenti, a decidere caso per caso, cosa fare, in
termini di buon "temperamento" tra spontaneità sociale e
necessità politiche (le famose costanti o regolarità), come accade
in tutti i regimi a prescindere dalla forma stato o di governo: la sfida
insomma è sempre circostanziale e concreta, storica se vuoi (in senso
storicistico). E interna alle classi dirigenti. Inutile fingere, o peggio
credere ingenuamente, in una fantasmagorica volontà (politica)
popolare: che invece segue sempre, qualche volta anticipa (e sono guai),
per poi riallinearsi in retroguardia... E qui lo Schmitt, da te
citato, nonostante il suo realismo segue un po’ troppo la classica
distinzione formale delle tipologie di governo e stato, invisa al nostro Mosca,
ad esempio). Quindi la vera domanda è: cosa ti puoi
aspettare, a livello di Unione Europea e di stati nazionali, da classi
dirigenti catto-socialiste? Solo uno svuotamento
costruttivista della società liberale o aperta, tra l'altro
faticosamente e imperfettamente costruita nel secondo dopoguerra.
Di riflesso, quelle disfunzioni da te accennate. Che sono, in primis, frutto di una
mancanza di ricambio a livello di classi dirigenti. Questo è il vero punto sociologico,
non la dinamica astratta dei concetti giuridici. Perché, come sa
ogni liberale triste, sono gli uomini, spesso senza saperlo, a fare le
istituzioni, non le istituzioni gli uomini. Il primo è un principio
liberale, il secondo costruttivista. E non è che si può dare
un aiuto intellettuale, e perciò indiretto, alla formazione di una classe
dirigente liberale, diffondendo il verbo di Rousseau ( che tanto piace a
populisti, fascisti, comunisti), costruttivista per eccellenza.
Cosa che, fortunatamente, tu sembri già sapere.
Carlo Gambescia
Liberali e no/ Una replica al post dell’amico Teodoro
Klitsche de la Grange
È vero che Rousseau è considerato il “padre” della
democrazia totalitaria moderna, criticato con efficacia da Constant e da
Tocqueville (liberali, come pensa di esserlo chi scrive) ma occorre ripensare,
anche alla luce del pensiero liberale “triste”, certe partizioni.
Senza voler ricordare le considerazioni simili di
altri giuristi, occorre ricordare che Carl Schmitt nella costituzione dello
Stato borghese di diritto (ossia quello liberaldemocratico moderno) vede
l’unione di principi politici e di principi dello Stato borghese (cioè del
pensiero liberale). I primi sono quelli “classici” (monarchia, aristocrazia,
democrazia – ridotti da Schmitt ad identità e rappresentanza) i secondi di
garanzia dei diritti fondamentali e distinzione dei poteri. Carattere dei primi
è costituire (fondare, legittimare) il potere; dei
secondi, di limitarlo.
Resta il fatto che se uno Stato dovesse fondarsi sui
principi di limitazione del potere, cioè a un liberalismo che
Hegel avrebbe, probabilmente, chiamato astratto (o magari “vento che gonfia la
testa”, ossia aria fritta), non esisterebbe perché per limitare un potere occorre necessariamente che questo esista (sia costituito).
Per cui ogni Stato liberaldemocratico è l’unione di
uno o più principi politici (status mixtus) e dei principi dello
Stato borghese. Cosa che molti oggigiorno dimenticano.
Col risultato di ricorrere a improbabili (e
incredibili) succedanei come il potere d’organi giudiziari (Corti
Costituzionali in primis),
d’istituzioni internazionali (tra cui l’Unione Europea), ma occultamente,
l’influenza di “poteri forti” i cui connotati fondamentali sono d’essere
non-pubblici (cioè non istituzioni pubbliche)
e quindi non-democratici. Nel migliore dei casi (cioè l’Unione Europea) la
riferibilità degli organi decidenti alla scelta e alla volontà popolare è,
quantomeno, molto mediata e quindi evanescente.
E se ne vedono i risultati: la volontà popolare,
conculcata e disattesa in tante sedi istituzionali (e non), trova i propri
spazi di decisione ed espressione dove può compiere scelte dirette: nei referendum e nelle elezioni. O rifugiandosi
nell’astensionismo, cioè nell’indifferenza.
Per cui ben venga una maggiore identità (nei due sensi del termine, di
principio politico e d’identificazione nazionale): perché – e qua passo a Smend
– uno Stato che non ha (o ha scarsi) mezzi d’integrazione (e quindi di
partecipazione e di legittimazione del potere) è condannato a deperire e, alla
lunga, a scomparire.
Teodoro Klitsche de la
Grange
Caro Teodoro, grazie innanzitutto per la tempistica:
nonostante i tuoi numerosi impegni ti sei preso la briga, e in
tempi rapidissimi, di rispondere alla mia nota . Ne sono onorato.
Vengo al dunque. Noto subito con piacere
che su Rousseau concordi. Quindi convieni anche che era
inutile chiamarlo in causa. Ci sono pagine di Constant sul “brigante”
Napoleone, oppure di Tocqueville sull’assolutismo rivoluzionario che potevi
citare benissimo in luogo di quel pericoloso lunatico di Rousseau.
Apprezzo.
Quanto alla
questione giuridico-politica
, non mi mettere però in
bocca, se mi passi l’espressione non proprio elegante, cose che non ho detto:
io mi guardo bene dal ridurre il liberalismo a una pura e semplice limitazione
del potere dello stato: a
una dottrina puramente negativa del potere, come liberali micro-archici e an-archici. Né però accetto la visione
positiva del potere
del liberale macro-archico.
Da liberale triste, ormai per antonomasia se mi
permetti, CREDO che al di là, delle questioni legate non
tanto ai concetti, puri o meno, di identità e
rappresentanza (che a mio avviso non esistono se non nella mente di certi
giuristi), quanto del significato concreto, in termini di derivazione,
che viene dato a questi termini ( ma questa è un’altra storia, di
smascheramento…), SIANO il politico, i politici, meglio ancora le
classi dirigenti, a decidere caso per caso, cosa fare, in
termini di buon "temperamento" tra spontaneità sociale e
necessità politiche (le famose costanti o regolarità), come accade
in tutti i regimi a prescindere dalla forma stato o di governo: la sfida
insomma è sempre circostanziale e concreta, storica se vuoi (in senso
storicistico). E interna alle classi dirigenti. Inutile fingere, o peggio
credere ingenuamente, in una fantasmagorica volontà (politica)
popolare: che invece segue sempre, qualche volta anticipa (e sono guai),
per poi riallinearsi in retroguardia... E qui lo Schmitt, da te
citato, nonostante il suo realismo segue un po’ troppo la classica
distinzione formale delle tipologie di governo e stato, invisa al nostro Mosca,
ad esempio). Quindi la vera domanda è: cosa ti puoi
aspettare, a livello di Unione Europea e di stati nazionali, da classi
dirigenti catto-socialiste? Solo uno svuotamento
costruttivista della società liberale o aperta, tra l'altro
faticosamente e imperfettamente costruita nel secondo dopoguerra.
Di riflesso, quelle disfunzioni da te accennate. Che sono, in primis, frutto di una
mancanza di ricambio a livello di classi dirigenti. Questo è il vero punto sociologico,
non la dinamica astratta dei concetti giuridici. Perché, come sa
ogni liberale triste, sono gli uomini, spesso senza saperlo, a fare le
istituzioni, non le istituzioni gli uomini. Il primo è un principio
liberale, il secondo costruttivista. E non è che si può dare
un aiuto intellettuale, e perciò indiretto, alla formazione di una classe
dirigente liberale, diffondendo il verbo di Rousseau ( che tanto piace a
populisti, fascisti, comunisti), costruttivista per eccellenza.
Cosa che, fortunatamente, tu sembri già sapere.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento