giovedì 29 ottobre 2015

La replica di Teodoro Klitsche de la Grange

È vero che Rousseau è considerato il “padre” della democrazia totalitaria moderna, criticato con efficacia da Constant e da Tocqueville (liberali, come pensa di esserlo chi scrive) ma occorre ripensare, anche alla luce del pensiero liberale “triste”, certe partizioni.
Senza voler ricordare le considerazioni simili di altri giuristi, occorre ricordare che Carl Schmitt nella costituzione dello Stato borghese di diritto (ossia quello liberaldemocratico moderno) vede l’unione di principi politici e di principi dello Stato borghese (cioè del pensiero liberale). I primi sono quelli “classici” (monarchia, aristocrazia, democrazia – ridotti da Schmitt ad identità e rappresentanza) i secondi di garanzia dei diritti fondamentali e distinzione dei poteri. Carattere dei primi è costituire (fondare, legittimare) il potere; dei secondi, di limitarlo.
Resta il fatto che se uno Stato dovesse fondarsi sui principi di limitazione del potere, cioè a un liberalismo che Hegel avrebbe, probabilmente, chiamato astratto (o magari “vento che gonfia la testa”, ossia aria fritta), non esisterebbe perché per limitare un potere occorre necessariamente che questo esista (sia costituito).
Per cui ogni Stato liberaldemocratico è l’unione di uno o più principi  politici (status mixtus) e dei principi dello Stato borghese. Cosa che molti oggigiorno dimenticano.
Col risultato di ricorrere a improbabili (e incredibili) succedanei come il potere d’organi giudiziari (Corti Costituzionali in primis), d’istituzioni internazionali (tra cui l’Unione Europea), ma occultamente, l’influenza di “poteri forti” i cui connotati fondamentali sono d’essere non-pubblici (cioè non istituzioni pubbliche) e quindi non-democratici. Nel migliore dei casi (cioè l’Unione Europea) la riferibilità degli organi decidenti alla scelta e alla volontà popolare è, quantomeno, molto mediata e quindi evanescente.
E se ne vedono i risultati: la volontà popolare, conculcata e disattesa in tante sedi istituzionali (e non), trova i propri spazi di decisione ed espressione dove può compiere scelte dirette: nei referendum e nelle elezioni. O rifugiandosi nell’astensionismo, cioè nell’indifferenza.
Per cui ben venga una maggiore identità (nei due sensi del termine, di principio politico e d’identificazione nazionale): perché – e qua passo a Smend – uno Stato che non ha (o ha scarsi) mezzi d’integrazione (e quindi di partecipazione e di legittimazione del potere) è condannato a deperire e, alla lunga, a scomparire.
                                                           Teodoro Klitsche de la Grange 


***
La controreplica di Carlo Gambescia 

Caro Teodoro, grazie innanzitutto per la tempistica: nonostante i tuoi  numerosi impegni ti sei preso la briga, e  in tempi rapidissimi,  di rispondere alla mia nota . Ne sono onorato.
Vengo al dunque. Noto subito con  piacere   che su Rousseau concordi. Quindi convieni anche  che era inutile  chiamarlo in causa. Ci sono pagine di Constant sul “brigante” Napoleone, oppure di Tocqueville sull’assolutismo rivoluzionario che potevi citare benissimo in luogo di quel pericoloso lunatico di  Rousseau. Apprezzo.
Quanto  alla questione  giuridico-politica ,  non mi mettere però in bocca, se mi passi l’espressione non proprio elegante, cose che non ho detto: io mi guardo bene dal ridurre il liberalismo a una pura e semplice limitazione  del potere dello stato:  a una dottrina puramente negativa del potere, come liberali micro-archici e  an-archici.   Né  però accetto la visione positiva   del potere del liberale macro-archico.   
Da liberale triste, ormai per antonomasia se mi permetti,  CREDO  che al di là, delle questioni legate  non tanto  ai  concetti, puri o meno,  di  identità e rappresentanza (che a mio avviso  non esistono se non nella mente di certi  giuristi), quanto del significato concreto, in termini di derivazione, che viene dato a questi termini ( ma questa è un’altra storia, di smascheramento…),  SIANO  il politico, i politici, meglio ancora le classi dirigenti,  a decidere caso per caso,  cosa fare,  in termini di buon "temperamento"  tra spontaneità sociale e necessità politiche (le famose costanti o regolarità),  come  accade in tutti i regimi a prescindere dalla forma stato o di governo:  la sfida insomma è sempre circostanziale e concreta, storica se vuoi (in senso storicistico). E interna alle classi dirigenti.  Inutile fingere, o peggio credere ingenuamente,  in una fantasmagorica  volontà (politica) popolare:  che invece segue sempre, qualche volta anticipa (e sono guai), per poi riallinearsi in retroguardia...  E qui lo  Schmitt, da te citato,  nonostante il suo realismo segue un po’ troppo la classica distinzione formale delle tipologie di governo e stato, invisa al nostro Mosca, ad esempio).  Quindi la vera domanda è:  cosa ti  puoi aspettare, a livello di Unione Europea e di stati nazionali,  da classi dirigenti  catto-socialiste? Solo  uno  svuotamento costruttivista  della società liberale o aperta, tra l'altro  faticosamente e imperfettamente costruita nel secondo dopoguerra.   Di riflesso, quelle disfunzioni da  te accennate.  Che sono, in primis,  frutto di una mancanza di ricambio  a livello di classi dirigenti. Questo è il vero punto sociologico,  non la dinamica  astratta dei concetti giuridici. Perché, come sa ogni liberale triste, sono gli uomini, spesso senza saperlo,  a fare le istituzioni, non le istituzioni gli uomini.  Il primo è un principio liberale, il secondo costruttivista.   E non è  che si può dare un aiuto intellettuale, e perciò indiretto,  alla formazione di una classe dirigente liberale, diffondendo il verbo di Rousseau ( che tanto piace a populisti, fascisti, comunisti),  costruttivista  per eccellenza. Cosa che, fortunatamente, tu sembri  già sapere.   
 Carlo Gambescia
         


       
 Liberali e no/ Una replica al  post dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange

No, Rousseau no…



La riflessione dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange  sulle elezioni polacche -  comunque, notevole  -  ci  ha creato  un problema di coscienza “metodologica”. Per quale ragione?  Perché, Rousseau è un pensatore collettivista (costruttivista, per dirla in termini hayekiani),  irrecuperabile  alla tradizione liberale,  individualista e spontaneista.  Ora, che contro l’Europa, questa Europa delle élites,  semplificando,  catto-socialiste, quindi dirigiste, si cerchi  di  usare in chiave polemica qualunque argomento ( o autore, come nel caso), può essere pericoloso, sia dal punto di vista concettuale, sia da quello  della coerenza politica. Liberale.

Perché, ad esempio si prenda la frase di Rousseau citata da Klitsche de la Grange: Date un’altra piega alle passioni dei Polacchi”…  Chi deve “dare una piega”?   A pochi anni dalla sua scomparsa,  evocandone il sacro nome, furono i giacobini a dare “un’altra piega” ai francesi con il terrore…  E dopo  Robespierre,  socialisti, scientifici  o meno, comunardi,  sindacalisti rivoluzionari, comunisti, fascisti  e perfino, certo,  con modalità soft (ma fino a un certo punto) i catto-socialisti  dell’Unione  Europea    

Altra cosa invece  è dire lasciate che  i Polacchi prendano da soli un’altra piega. Il che significa accettare che la mano invisibile  dell’interazione sociale faccia la sua opera, senza interventi dall’alto.  Da un lato un pensiero collettivista, dall’altro individualista.  Esiste, insomma,  una bella differenza.


Perciò , sia detto con tutto il rispetto,  abbiamo provato un grande stupore nel  sentir citare,  da un forbito intellettuale liberale come l’amico Klitsche de la Grange , il nome  di Rousseau, per difendere, una causa  che comunque riteniamo giusta, quella “delle  istituzioni solide per un popolo decidente”.  Non bastava il più affidabile Tocqueville?


Perché, a dire il vero,  Rousseau, a tutt’oggi, è il pensatore prediletto di  quei  guru  della sinistra estrema come Žižek e Badiou. Da destra, anche Alain de Benoist, certo, con ben altra finezza intellettuale,  lo aveva a suo tempo rivalutato .  


Ora, non si tratta qui  di contrapporre citazione a citazione (non desideriamo aprire gare di bravura in argomento…), quel che però va tenuto presente, assolutamente presente, è il segmento di  appartenenza.  E quello di Rousseau non è sicuramente liberale (Talmon docet )


Perciò perché combattere l’Unione Europa, con i suoi stessi, cattivi,  strumenti euristici e ideologici?  Collettivisti e costruttivisti, per farla breve.  E, ciò che è peggio, perché  conferire (per carità, indirettamente e in perfetta buona fede), attraverso la penna di un liberale,  una “patente liberale” a un pensatore come Rousseau, che stando a studiosi come Pareto, Mosca, Ferrero (per limitarsi al campo italiano) resta il padre di tutti i democraticismi totalitari?  E quindi il nonno, per così dire, di quella demagogia populista, parafascista, qualunquista antieuropea alla quale  Klitsche de la Grange giustamente accenna nel suo articolo? 

Carlo Gambescia                  


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