Lo abbiamo scritto più volte (*). In fondo il concetto è banale. Eppure.
Per l’ Europa è difficile, se non impossibile, pensare la guerra. Nel senso di comprendere che come altre attività umane la guerra, fa parte del dinamica metapolitica e di conseguenza va messa in conto.
Pensare la guerra non significa nutrire la pretesa di dichiararla a tutto il mondo. Pensare la guerra significa inquadrare la guerra come una possibilità, come una eventualità che non si può escludere: qualcosa che potrebbe accadere non si sa quando, come, dove, ma che potrebbe accadere.
Il che mette in luce un altro aspetto. Nessuna trattativa politica, anche di pace, è credibile (a livello di minaccia) se non si fa capire all’avversario che si è disposti a battersi (quindi a “pensare” la guerra). Cioè a rendergli le cose più difficili. Il sangue umano ha sempre un alto prezzo. Cosa che nessuno, a parte le classi politiche più spietate della storia, può ignorare a cuor leggero. Di qui il peso della minaccia “tributo di sangue” da pagare.
Per contro i nuovi teorici pacifisti della cooperazione evocano le trattative senza ricorrere alla minaccia. Non escludiamo questa possibilità, che però impone un terzo, una specie di superpoliziotto, a sua volta in grado di minacciare ritorsioni sui contendenti se non scenderanno a miti consigli, eccetera, eccetera.
Pertanto, come si può
intuire, la minaccia una volta cacciata dalla porta (trattative)
rientra dalla finestra (superpoliziotto). Di conseguenza, il problema diventa quello della buona fede del superpoliziotto. Se agisce nel nome dell'interesse proprio o di quello comune. Cosa sempre difficile da stabilire. Soprattutto sul piano della politica internazionale. Diciamo che l'intervento del superpoliziotto alza l'asticella, ma non esclude il ricorso alla violenza. Perché allora complicarsi la vita?
Ora quel che sta accadendo in Europa, dopo il voltafaccia americano, rimanda a una grave questione di fondo. Come può l’Europa, dopo ottant’anni di pacifismo diffuso, soprattutto a livello collettivo, cambiare improvvisamente idea sulla guerra? Cioè, come detto, pensarla?
Il brusco risveglio spiega le resistenze verso quello che viene liquidato – già la terminologia è significativa – “ riarmo” europeo. Come per dire che la condizione naturale sia quella di andare in giro disarmati…
Il che in linea logica è possibile, ma rinvia, come già detto, al terzo che minaccia ritorsioni.
Si pensi, come anticipato, per capire il concetto, al ruolo della polizia, nella società moderna. Servirebbe insomma un “superpoliziotto” mondiale. Che attenzione, come per le continue reviviscenze criminali nelle nostre società civili, non garantirebbe comunque nessuna pace universale e definitiva. Sussisterebbe sempre una quota di devianti, eccetera, eccetera.
Pertanto non ci interessa indagare il teatrino di questi giorni. Cioè le razionalizzazioni-giustificazioni di destra e di sinistra, l’uso calcolato dei luoghi comuni del pacifismo, le contraddizioni politiche (“Ah, prima volevi la guerra, ora vuoi la pace!”. E viceversa), i ragionamenti causidici (tipo, “Sì andiamo pure alla guerra, però non siamo né saremo mai preparati”), populisti, vecchio stile ma sempreverdi, alla Sandro Pertini ("Aprite i granai, serrate gli arsenali", "Pane non ferro"), patetici, perché fuori luogo ("Non in mio nome"), eccetera, eccetera.
L’unico punto fondamentale da evidenziare è che l’Europa a fronte della minaccia russa e americana, che non può essere negata a meno che non si dipingano Trump e Putin come nipoti di San Francesco, se non vuole sparire politicamente, cioè trasformarsi in espressione geografica, deve reagire con una controminaccia. Cioè deve provare di essere capace di pensare la guerra.
E per essere credibile deve riarmarsi in tempi brevi, tra l’altro, proprio per tenere la guerra fuori dall’Europa occidentale, considerando il fronte ucraino come una specie di fondamentale Vallo Orientale.
Si dirà che il nostro errore è nel non credere nella volontà di pace di Trump e Putin. E sia. Però, per citare Manzoni, un vaso di coccio tra i vasi ferro è destinato a fare una brutta fine. Quindi il discorso del “riarmo” prescinde dalla crisi ucraina. Ha natura pregiudiziale.
L’Europa non è all’altezza? Non può riuscire, per una serie di ragioni demografiche, organizzative, morali e politiche, a “riarmarsi” per tempo? Quindi perché sporcarsi le mani di sangue?
Perfetto. Allora l’ Europa ne prenda atto, si finisca con il teatrino, si accucci e si prepari ad essere spartita tra russi e americani. Perché questo sarà il triste destino di chiunque rinunci a “pensare” la guerra. E per dirla alla buona: almeno a tentare di battersi. A cadere, se sarà necessario, con le armi in pugno. Come lezione per le future generazioni. Chissà per un futuro Risorgimento europeo e italiano. Mai dire mai. La metapolitica parla l'ebraico.
Altrimenti, inutile illudersi che americani e russi saranno pietosi. Avremo salve le vite, quindi protezione, solo in cambio di obbedienza. Come insegnano cinquemila anni di dinamica metapolitica. Il monito vale anche per coloro che in questi giorni evocano il riarmo, ma obtorto collo.
Si dirà infine che per la gente comune, viziata da ottant’anni di “ombrello americano”, non cambierà nulla. E che in fondo quel che conta è vivere tranquilli.
Alziamo le braccia. Sul ponte sventola bandiera bianca.
Carlo Gambescia
(*) Qui (in particolare): https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/02/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la.html . E qui (in generale): https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=l%27incapacit%C3%A0+di+pensare+la+guerra .
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