lunedì 3 marzo 2025

Crisi mondiale. La necessità di una teologia politica liberale

 


Carl Schmitt ha sostenuto, e in buona compagnia ( Freund e Aron), che la politica dei moderni nasconde sotto la scorza laicista un ricorso a categorie teologiche improntate ai valori assoluti di bene e male.

Va ricordato che in questo modo Schmitt, che qualche debolezza per Hitler l’aveva nutrita, voleva semplicemente dare il colpo di grazia al pensiero liberale.

Per capirsi: i liberali – diceva Schmitt – chiacchierano tanto, talvolta troppo, della necessità di una politica capace di tenersi alla larga da ogni tipo di fede, quando in realtà, propagandano la fede liberale. Cioè – semplificando – un pensiero che tramuta in fede il desiderio (quindi non una necessità) che in politica si rinunci a qualsiasi forma di fede, nel senso di una credenza nell’esistenza del bene e nel male.

Schmitt coglieva nel segno. Il principale difetto del liberalismo, che però al tempo stesso è il suo pregio principale, resta tuttora ancorato alla dinamica, dagli esiti sempre incerti, tra rifiuto di credere e necessità di credere, tra rifiuto delle passioni e necessità delle passioni, tra rifiuto dell’ideologia e necessità dell’ideologia, tra rifiuto dei valori e necessaria tirannia del valori.

Ora, la dinamica del dubbio va benissimo, ma non quando si deve lottare, e con energia, per non soccombere.

Perché ci sono momenti , e qui si pensi alla crisi ucraina, in cui credere è necessario. Ciò, piaccia o meno, significa che la politica non può non farsi teologia, nel senso di una distinzione netta tra bene e male.

Momenti in cui, per convincere e vincere, si deve credere nelle ragioni per cui ci si batte. Come un padre della chiesa.

Ora nella crisi ucraina dov’è il bene? Dov’è il male? Difficile dire . Soprattutto se si incarna il bene nella pace. Chi rifiuta l’idea di pace? Nessuno. Per non volere la pace si deve essere dei mostri, si sente ripetere. Pertanto secondo questo punto di vista tutti i contendenti, solo perché imbracciano un fucile, sono dalla parte del male.

Occorre perciò un altro criterio. Che ci riporta proprio alla fede liberale nel libero individuo, una specie di teologia liberale di base, che bisogna riconoscere come tale, senza provare alcuna vergogna per l’essere stati scoperti dalla polizia di un laicismo, pseudo liberale, che è il primo nemico del liberalismo.

Il bene è dove l’individuo è libero, il male dove non lo è. Pertanto l’Occidente – sempre seguendo il filo del ragionamento teologico-politico – è bene, l’Oriente (semplifichiamo) è male. Di conseguenza non è una buona notizia che all’interno dell’Occidente si sia persa la fede nella libertà, per sposare la causa orientale che vede il cittadino tramutato in suddito. Per dirla brutalmente: ora come ora il bene è dalla parte dell’individualista Ucraina.

Inoltre, che sul piano della retorica politica si insista, così tanto, sul valore della pace, può anche essere accettabile dal punto di vista diplomatico, ma non fino al punto di perdere di vista la teologia politica occidentale che fa perno sull’individuo. Rifiutarla significa indebolire l’Occidente. Per fare un esempio: il solo parlare di protezionismo, vera gabbia per l’individuo produttore e consumatore, significa tradire i valori dell’Occidente imperniati sulla libertà di scelta.

Questo barile di melassa pacifista, dal quale attingono tutti, spiega l’ambiguità decisionale e certa passività liberale. Ad esempio, tutti a parole vogliono la pace, ma pochi ammettono : “Io sono per la pace, ma per una pace che parta dalla teologia politica liberale dell’individuo”.

Ricapitolando: l’intuizione di Schmitt è giusta. Ma la sua è una critica. Tra l’altro priva di sbocchi, se non di tipo nazista. Di conseguenza il liberalismo deve imporsi di trasformare la critica in apprezzamento, ammettendo il valore, senza provare alcun complesso di inferiorità verso chicchessia, di una teologia politica liberale imperniata sull’individuo.

Si tratta di una scelta di fondo che deve precedere, senza per questo rinunciare a innervarlo, un europeismo, ora riscoperto perfino dalla sinistra, ma in chiave welfarista, quindi poco liberale.

Ovviamente per vincere servono le risorse. Non basta essere dalla parte della ragione. Però, se durante una battaglia, non si hanno neppure le idee chiare sul bene e sul male, si rischia, per dirla con il Berni, di fare la fine del “cavaliere, che non se ne era accorto, andava combattendo, ed era morto”.

Carlo Gambescia


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