mercoledì 12 marzo 2025

Protezionismo. Per capire le stupidaggini del dinosauro Trump

 


L’esame della storia moderna prova l’esistenza di un filone fondamentale: quello rappresentato dalla marcia, non sempre lineare purtroppo, del libero scambio. Cioè della lenta ma costante caduta delle barriere economiche tra stato e stato.

Quando inizia questo processo?

Sul piano della storia delle idee il concetto di libero scambio di grani e merci risale alla scuola fisiocratica francese e dei moralisti scozzesi (ma sulla derivazione da quest’ultima non tutti gli studiosi sono d’accordo). Due nomi, tra gli altri: François Quesnay e Adam Smith. Il Tableau économique (1758) per i grani e An Inquiry into the Nature and Causes of Wealth of Nations (1776) per le merci, restano testi fondamentali. Sospendiamo invece il giudizio su Vincent de Gournay, al quale viene attribuita l’espressione, “Laisser faire et laisser passer!” (1753).

Quanto alla pratica, il XIX secolo, dopo la lezione autarchica delle guerre napoleoniche, resta il secolo del libero scambio e dell’enorme sviluppo dell’economia europea, in particolare britannica con le altre nazioni a seguire, in primis gli Stati Uniti, una crescita che favorì pace e progresso.

Tuttavia la pratica del libero scambio, come per ogni processo segnato da regolarità metapolitiche, portò con sé inevitabili dinamiche di inclusione-esclusione e di tipo centrifugo-centripeto. Semplificando: reazioni di tipo nazionalista alla grande ventata internazionalista.

In questo senso le due guerre mondiali novecentesche rinviano a un contrattacco di tipo nazionalista (centripeto ed esclusivo) contro l’internazionalismo dei mercati (centrifugo e inclusivo).

Per contro, il periodo successivo, alle guerre mondiali, diciamo fino a oggi, può essere letto, come una vittoria dell’internazionalismo, come un’ età di pace e libero commercio, apportatrice di progresso e libertà.

Sotto questo aspetto – ecco il punto – il protezionismo trumpiano riporta il mondo al periodo napoleonico. Aumentando il rischio di guerre distruttive e di processi inflazionistici non meno devastanti. Come appunto fu l’età napoleonica.

Semplifichiamo troppo? Può darsi. Quel che però conta è che il lettore afferri le linee generali del processo storico e metapolitico.

In questo quadro dove collocare la vicenda ucraina?

Ferme restando le componenti storiche del nazionalismo ucraino, che dal punto di vista della dinamica metapolitica della razionalizzazione-giustificazione, risalgono all’inizio del XVIII secolo, anche come centro di irradiazione di una tradizione ucraina (altra regolarità metapolitica). Ferme restando, queste componenti dicevamo, il nazionalismo ucraino può essere ricondotto nell’alveo di un’espansione dell’idea di libero scambio a Est: un processo centrifugo nei riguardi della Russia e inclusivo dell’Ucraina rispetto all’Occidente.

Siamo dinanzi alla gloriosa marcia di un’idea di pace, libertà e progresso. Che ovviamente si scontra con le tradizioni autocratiche russe.

Per capirsi: si pensi, immaginando un  bel viaggio  attraverso la macchina del tempo, alle difficoltà comprensive  di un uomo primitivo in visita  alla  Borsa di Wall Street.

Ciò che invece stona sono le reazioni di Trump. Che, ufficialmente, non è un uomo primitivo.  Reazioni incomprensibili al giorno d’oggi. E per giunta  in Occidente. 

Come spiegare questo ritorno all’età della pietra? Alla ruota quadrata?

In realtà, siamo davanti al risveglio di una specie di dinosauro. Prigioniero di una visione autolesionistica, arcaica e autarchica dell’economia. Roba, come un tempo  si diceva  brutalmente,da Cottolengo. Economico.

Solo così si può spiegare il controproducente voltafaccia nazionalista di Trump.  Che oltre a complicare la vita economica degli Stati Uniti, sta dividendo politicamente ed economicamente non solo l’Europa da Washington, ma il mondo intero, favorendo in particolare i nemici dell’Occidente, con la Russia in prima linea.

Teratologia economica. Soprattutto quando si pensa che a difendere Adam Smith sono rimasti  solo i cinesi…

In sintesi: ogni passo indietro della libertà di mercato è un passo in avanti verso il caos nazionalista che portò a due guerre mondiali.

Per  fare buon uso  della  teologia politica riscoperta da Carl Schmitt, la libertà di mercato è il bene, il nazionalismo il male. Soprattutto se non ben temperato dalla condivisione dei valori liberali, come nei Risorgimenti ottocenteschi e nell’Europa dopo il 1945.

Perciò il problema non è quello dell’Ucraina che "non vuole capire" . Kiev è dalla parte del libero scambio, della pace, della libertà e del progresso. Ma dei dinosauri  nemici della libertà di mercato. A partire da Trump.


Carlo Gambescia

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