Il grande Julien Freund nel suo Décadence. Histoire sociologique et philosophique d’une catégorie de l’expérience humaine (Sirey 1984) parla anche di Karl Kraus. Lo dipinge, seppure rapidamente, come il critico per eccellenza di una decadente e inumana società borghese, che aveva dato il peggio di se stessa nella Prima Guerra Mondiale. Citando in particolare Gli ultimi giorni dell’umanità (Die letzten Tage der Menschheit), opera teatrale scritta tra il 1915 e il 1922.
Ecco Karl Kraus critico delle decadenza. Ma in che termini, sociologicamente parlando? Freund nel suo interessante volume, non aggiunge altro. Si limita ad affiancare Kraus a Roth, Musil, von Doreder, Broch, Trakl…
Questa “curiosità” intellettuale può essere soddisfatta, o comunque inquadrata nel modo giusto, grazie al notevole libro di Maurizio Cau: Politica e diritto. Karl Kraus e la crisi della civiltà (il Mulino, Bologna 2009, pp. 442, euro 31.00). Giovane e promettente ricercatore di storia del pensiero politico e giuridico del Novecento, presso la Fondazione Bruno Kessler (nei cui “Annali” appare questa monografia).
Ma veniamo al libro. Dal punto di vista della biografia intellettuale, il suo principale pregio è di non santificare Karl Kraus, come spesso capita in Italia, elevandolo a supponente Savonarola laicheggiante. Né di farlo rientrare a forza nel “pensiero della crisi” tra le due guerre, per poi, recuperarlo sull’onda del nichilismo post-moderno: nichilismo intellettuale e colto, ma sempre nichilismo…
Invece Cau, pur rispettosamente, ne evidenzia i limiti ideologici, rappresentati dagli innamoramenti krausiani, prima per i socialdemocratici e poi per Dollfuß, nonché quelli filosofici, legati alla sua filosofia dell’Ursprung, quale necessario ritorno all’origine, in tutti i campi, dal linguistico al giuridico. E perciò pietra di paragone teorica, ma anche pesante macigno per l’azione riformatrice, nei riguardi di una modernità mai amata da Kraus. E probabilmente mai veramente compresa nella sua specificità.
Riteniamo infatti che “ Die Fackel” – la famosa rivista redatta da Kraus dal 1899 al 1936, anno della sua morte – si debba ammirare come un maestoso tramonto sull’oceano. Che però sembra non finire mai… Nella modernità che imbrunisce, così ben raffigurata da Kraus, non si riesce però a scorgere alcuna alba.
Scrive Cau a proposito dell’ Ursprung (la citazione è lunga ma necessaria):
“In cosa consista tale origine e quale sia il suo ruolo nell’impianto concettuale krausiano non è dato sapere con certezza, stante la già evidenziata mancanza di analiticità del suo pensiero, ma resta possibile tratteggiarne sommariamente i contorni. La categoria dell’Ursprung, rappresentando in via generale tutto ciò che di un ordine primigenio è andato smarrito, sembra rimandare Kraus alla dimensione della perdita. Non per questo quello dell’origine può essere considerato un concetto dai caratteri storicamente ben definiti. La sua valenza non è infatti prettamente storica, ma logico- religiosa. Quello dell’origine non definisce, quindi un momento storicamente determinato nello sviluppo della civiltà umana, ma costituisce una categoria spirituale cui l’umanità dovrebbe riferirsi e in nome della quale avrebbe l’obbligo di orientarle proprie azioni. Come notava Kurt Krolop, l’Ursprung non è un fatto ma un processo durevole, la cui ripetibilità garantisce la potenziale immanenza dell’origine stessa. Esso non definisce, di conseguenza un semplice momento nella storia dell’evoluzione dell’umanità, ma un sistema categoriale e assiologico che non ha perso la propria validità e il proprio carattere di urgenza. Non si tratta neppure di una struttura concettuale simile allo stato di natura caro alle dottrine di tradizione giusnaturalista, poiché per Kraus essa non rappresenta un costrutto logico su cui fondare l’ordine politico costituito, ma l’immagine di un passato ormai irraggiungibile che costituisce i valori autentici della cultura umana. Come ha scritto Cases, ‘la coscienza dell’Origine dà a Kraus la forza di contrapporsi al tempo e alla storia, al groviglio delle colpe ‘ ” (pp. 104-105).
Sociologicamente parlando, per Kraus, ebreo di cui però è bene non dimenticare la conversione al cattolicesimo, la storia è decadenza, almeno a far tempo da Adamo ed Eva.
Risulta perciò chiaro, come su queste basi, per Kraus “i veri credenti – come recita un suo celebre aforisma, giustamente citato da Cau – sono quelli a cui manca Dio”. Nei termini, appunto, di una purezza edenica alla quale l’uomo, come angelo caduto, aspira a (ri)tornare.
Ora, se per Kraus la storia – tutta la storia – è decadenza, la modernità non può non divenire un “episodio” di un lento e plurimillenario declino: una fase provvisoria, in fondo priva di importanza. Di qui il suo non venire e patti con la modernità. Ma anche la sua difficoltà di capire la specificità del mondo moderno.
Inoltre il suo considerare, alla stregua di un novello Agostino, la storia come decadenza, spiega l’avversione di Kraus per Hitler, di cui coglie bene proprio il lato demoniaco, quasi di maligna pianta strisciante sul terreno, ma aiuta a capire – cosa che sembra sfuggire a Cau – la sua “opzione” per Dollfuß, nel quale sembra scorgere il Katechon: colui che, in senso paolino, frena il male: impedisce la degenerazione del mondo. E frenandola potrebbe in parte favorire il graduale (ri)torno alla purezza edenica
Del resto Kraus, come nota Cau, confermò “il proprio appoggio alla politica dolfussiana (…) anche in seguito all’assassinio del cancelliere austriaco”. Perché, rilevava lo scrittore austriaco, “la convinzione che Dollfuß è stato un eroe dev’essere dal punto di vista etico o intellettuale, più sospetta della credenza nella vittoria finale della stupidità suicida? (…) “ (p. 407) .
“Stupidità suicida”. Parole profetiche, ma inascoltate, che avrebbero di lì a poco travolto la vita di milioni di persone. Parole che probabilmente sarebbero piaciute ad Agostino.
Carlo Gambescia