domenica 30 gennaio 2022

Mattarella bis, i partiti e lo status quo redistributivo

 


Errare è umano, perseverare diabolico. Antico adagio che quasi tutti hanno dimenticato, soprattutto in ambito politologico, diremmo addirittura metapolitico.

A cosa ci riferiamo in particolare? La scelta, condivisa bene o male da quasi tutti i partiti, di confermare il Presidente della Repubblica uscente, indica chiaramente, mai come ora, l'incapacità del  sistema politico (parlamento e partiti)  di svolgere il proprio ruolo.

Se per la rielezione di Napolitano, si poteva ancora parlare di errore, con Mattarella, siamo alla reiterazione intenzionale dello stesso errore, quindi si persevera, si sistematizza, per così dire il consumo occasionale si fa dipendenza… La voglia di status quo, di cui oggi parlano i giornali, ha però ben altra radice che le tasche dei parlamentari.

In realtà, e non siamo i soli a sostenerlo, la crisi dei sistemi politici, semplificando, liberal-democratici, viene da lontano e non riguarda solo l’Italia, ma il mondo occidentale.

Diciamo che l’Occidente liberal-democratico non si è mai del tutto ripreso dai tremendi scossoni totalitari novecenteschi.

Del resto, nel secondo dopoguerra, mescolando socialismo e liberalismo, si pensò di allontanare la crisi totalitaria, di tenerla sotto controllo, grazie anche a una ripresa economica postbellica, sprigionata dalla straordinaria voglia di benessere dei singoli. Uno slancio che durò almeno fino alla prima metà degli anni Sessanta.

Purtroppo man mano che la società liberal-democratica si socialdemocratizzava, la spinta morale individuale al benessere perdeva vigore, per sparire del tutto nei sotterranei dello stato redistributivo, o se si preferisce stato-provvidenza.

Di qui, il riaffiorare di una tendenza -  sempre presente nel parlamentarismo - al corporativismo degli interessi collettivi, però particolari, a danno del libero sviluppo economico degli interessi individuali. Collettivi e individuali, il lettore prenda appunto

Di conseguenza, negli ultimi cinquant’anni la redistribuzione si è sovrapposta alla produzione. Sicché l’inevitabile distanza tra produzione e distribuzione, causata dal crescente costo economico del welfare, è stata colmata dallo stato e dalle sue istituzioni economiche (dalla leva fiscale allo strumento del debito pubblico).

Di qui però – e veniamo al punto – il progressivo decadimento del ruolo dei partiti e del parlamento: da guardiani delle libertà individuali, private (politiche ed economiche) a indaffarati infermieri sociali, agenti delle tasse e gestori di provvidenze pubbliche.

Una trasformazione del resto invocata, non solo in Italia, dagli stessi cittadini, prigionieri, spesso consenzienti, di ciò che si può definire individualismo protetto a sfondo corporativo, legato a macro e micro gruppi di interesse, a cominciare dai partiti fino a cordate varie, clan e famiglie.

Se ci si perdona la frase fatta, siamo dinanzi a un individualismo spurio, collettivizzante, che socializza le perdite individuali, ma non i profitti. Insomma, una specie di individualismo, tutt’altro che eroico, dotato di paracadute, nel senso della fruizione di finanziamenti a pioggia e di altre misure sociali.

Pertanto dai partiti, dediti alla distribuzione di beni sociali, cosa ci si poteva e può aspettare? Di risolvere, subito il “problema” elezione Presidente della Repubblica, giudicato come secondario, rispetto alle grandi questioni redistributive. E così è stato.

Cosa vogliamo dire? Che queste sono vere radici della “voglia” di status quo dei partiti, non la pensione di parlamentare (o comunque non solo). Chiedere ai partiti, a questi partiti,  di fare i partiti, eleggendo un presidente della Repubblica, magari contrario al patto corporativo e redistributivo,  significava e  significa recidere le fondamenta del sistema. Dello status quo.

Perciò non sia dia ascolto ai lamenti di questa mattina sulla morte dei partiti: non è una questione di riforme costituzionali, di legge elettorale, di pensioni e stipendi dei parlamentari. 

Per inciso, quanto a Giorgia Meloni, prima “moralista” d’Italia, che si fregia di non aver votato Mattarella, ricordiamo ai lettori che il suo partito è il partito della spesa pubblica per eccellenza. Quindi un partito redistributivo, come del resto fu il fascismo, al quale molti dirigenti, elettori e simpatizzanti di Fratelli d’Italia, guardano con nostalgia.

Partiti e governi gestiscono per così dire la “cassa del reggimento”, cosa può importare loro delle critiche di tipo moralistico?

Il vero nodo è un altro: quello di strappare la “cassa” dalle mani di governi e partiti. Come? Puntando sulle privatizzazioni e sulle liberalizzazioni economiche, sui tributi da paradisi fiscali. Favorendo i mercati e il ritorno a quell’ individualismo eroico, persino temerario, soprattutto a livello imprenditoriale, che nel XIX secolo, prima della tormenta totalitaria, favorì un incredibile sviluppo economico, senza precedenti storici. “Lasciar fare, lasciar passare”… Ecco la ricetta.

I partiti liberali, all’epoca, fecero di tutto per favorire lo sviluppo della produzione, senza però interferire nella redistribuzione, saggiamente lasciata al mercato. Si ricordi lo straordinario sviluppo europeo tra gli anni Trenta e Settanta dell’Ottocento, anni d’oro in cui i partiti si disinteressarono della redistribuzione.

Sotto questo aspetto, quanto più oggi si insiste sulla redistribuzione, trascurando la produzione, introducendovi addirittura vincoli di ogni tipo, tanto più si rischia di provocare una crisi di sistema che potrebbe essere causata, ad esempio, proprio dalle politiche ecologiste.

Tra l’altro – e il circolo vizioso si chiude – sono politiche, queste ultime, ben viste da larghe fasce di popolazione, soggiogate da un individualismo protetto, patrocinato, da istituzioni, come i partiti, che invece di scusarsi con gli ecologisti, che terrorizzano la gente, dovrebbero fare il possibile, tornando al ruolo originario, per favorire la produzione, lasciando al mercato la redistribuzione. 

 E poi per dirla tutta, senza produzione non esiste redistribuzione, ammesso e non concesso che lo stato possa sostituirsi al mercato. 

Attenzione, produzione crescente, non lo sviluppo sostenibile, quindi limitato, teorizzato dai teorici del welfare verde o addirittura la decrescita ipotizzata dagli ecologisti duri e puri.

Sotto questo aspetto, la vittoria di Mattarella, se così si può definire, resta la vittoria di un individualismo protetto, redistributivo favorito da quei partiti che ne vivono, incuranti o ignari di recidere le radici stesse, le radici produttive, dei sistemi liberal-democratici.

E in questo senso, ripetiamo, di partiti tesi, a destra come a sinistra, a difendere lo status quo redistributivo.

Carlo Gambescia

Nessun commento: