lunedì 17 gennaio 2022

C’era una volta l’ opinione pubblica…

 


L’idea di opinione pubblica rinvia a un mondo in cui l’uso dell’argomentazione era molto più misurato, pacato, equilibrato.

L’intellettuale, dal giornalista allo scrittore, evitava di usare gli argomenti ad effetto, emotivi. Privi perciò di qualsiasi coerenza logica, solo per portare “le masse” dalla propria parte. Si pensi, per un concetto di opinione pubblica in senso classico, alle illuminate società letterarie del Settecento e ai club politici liberali dell’Ottocento. Insomma, si tratta di un’idea elitaria per eccellenza.

Infatti la parola “masse” resta il termine più significativo per comprendere le cause che sono alle origini della forza e della crisi del concetto di opinione pubblica.

L’opinione pubblica – per l’approfondimento, rinviamo al noto di libro di Lippmann (*), celebre studioso e commentatore americano, scritto all’indomani della Prima Guerra mondiale – rimanda all’idea del cittadino informato, che ha necessità di capire non di inveire.

La massa capisce o inveisce? Il problema è tutto qui.

Se per opinione pubblica si intende un insieme di club politici e culturali, composti di persone informate, abituate, per formazione, a ragionare, persone che prima di decidere desiderano capire, allora l’opinione pubblica si rivela un fondamentale strumento di conoscenza e libertà.

Se invece per opinione pubblica si intende il pubblico dei tempi di Lippmann, “masse” che leggevano la “stampa gialla”, scandalistica e populista, allora la pubblica opinione si rivela un pericoloso strumento di ignoranza e oppressione.

Oggi, nella società di massa in cui viviamo, il prolungamento della “stampa gialla” è rappresentato dai social e dai talk show televisivi. Perciò parlare di opinione pubblica, nel senso classico, porta completamente fuori strada.

Ai suoi tempi, Lippmann sperava nei progressi dell’istruzione, dell’educazione e della cultura, progressi capaci di far nascere e crescere un cittadino preparato, informato, non prigioniero della democrazia emotiva e dell' "infantilizzazione" a scopo polemico della comunicazione. 

Il “sogno americano” di Lippmann, purtroppo non si è realizzato, come prova la presidenza Trump, che ha contagiato repubblicani e democratici, tutti felicemente approdati, si fa per dire, alla democrazia emotiva.

Il punto fondamentale per comprendere la differenza tra l’opinione pubblica classica quella per così dire corrente è il seguente: quanto più una società si fa di massa tanto più si allontana l’idea di opinione pubblica come insieme di persone informate e ragionanti. Si potrebbe quasi parlare di una regolarità metapolitica.

Alla base del fenomeno scorgiamo una necessità sociologica: quanto più il pensiero si rivolge a milioni di persone tanto più per farsi capire ha necessità di stereotipi capaci di suscitare emozioni collettive. Quindi sperare che le masse ragionino è una pura e semplice contraddizione in termini. Perciò chiunque oggi parli di opinione pubblica asserisce il falso. E qui si pensi solo agli pseudo-dibattiti sui social.

Come uscire da questa incresciosa situazione? Probabilmente è impossibile. Non siamo ovviamente i primi a sviluppare una tesi così pessimistica. Si pensi al profetico studio di Ortega y Gasset sulla ribellione della masse (**), come a quello, relativamente recente di Lasch, sulla ribellione delle élite (***).

Purtroppo, piaccia meno, élite e masse, quando messe a contatto, non riescono più a comunicare, se non al prezzo di una degradazione culturale delle élite a livello delle masse (Ortega). Oppure di una ribellione, ma in senso egoistico, delle élite contro le masse (Lasch): nei due casi si tratta comunque di una regressione sociale che comporta i rischi, spesso congiunti,  dell’abulia collettiva come della radicalizzazione politica. Due fenomeni oggi sotto gli occhi di tutti

Si rifletta, la società sette-ottocentesca era una società elitaria, l’esatto contrario della società di massa. Ora, come trasporre i principi della cultura elitaria, per pochi, in una società di massa che pretende di farsi capire da tutti? Prigioniera della necessità di ricorrere all’argomentazione emotiva?

Come andrà a finire? Male.

Le masse hanno bisogno di capi carismatici. Il potere carismatico è l’esatto contrario del potere razionale. Il primo, decide e ordina, il secondo, prima di decidere e ordinare, si appella alla discussione.

La discussione, se deve essere tale, implica la partecipazione di pochi e selezionati individui, come giustamente impone il concetto pre-novecentesco di opinione pubblica. Qui, sia detto per inciso, entrano in conflitto le idee opposte di democrazia liberale, fondata sul concetto di rappresentanza e di democrazia populista, basata sull’idea plebiscitaria.

In sintesi, siamo davanti un’insanabile contraddizione.

Si rifletta: come propugnare i principi elitari, tra i quali c’è quello di opinione pubblica, in una società, come scrivevamo ieri, che invece venera l’uguaglianza? E per giunta dei punti di arrivo?

Carlo Gambescia

(*) https://www.ibs.it/opinione-pubblica-libro-walter-lippmann/e/9788879899048

(**) https://www.ibs.it/ribellione-delle-masse-libro-jose-ortega-y-gasset/e/9788877104953

(***) https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/la-ribellione-delle-elite-1/

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