martedì 28 luglio 2020

Ora la dittatura sanitaria non piace più alla destra populista
Appello ai liberali coraggiosi

Che brutto ritrovarsi in cattiva compagnia.  Chi scrive fin dall’inizio ha avversato la pandemia psico-politica  che ha condotto  l’Italia a passi da gigante verso una crisi economica e sociale che nei prossimi mesi rischia di farsi ancora più dura.   In  marzo, con Carlo Pompei, sulle pagine di “Linea”  ci siamo  trovati da soli  a contestare la svolta autoritaria imposta da un governo populista di sinistra, in perfetto  accordo  con l’opposizione populista di destra, che pretendeva addirittura misure sociali ancora più restrittive.
Ora però  la destra populista ha ripreso  fiato, e facendo finta di nulla, parla, accusando la sinistra,  di dittatura sanitaria. E così, con Carlo Pompei, per così dire, ci ritroviamo, in compagnia di questi buffoni, finti difensori della libertà.  Per non parlare dell’inquietante arcipelago complottista, che va da destra a sinistra,  per il quale  ogni occasione  è  buona per buttarla in caciara (come si dice a Roma).    

Qual è il punto di discrimine tra  “Linea” e tutti gli altri?  Che sulle pagine di  “Linea” si ragiona e si argomenta   e  soprattutto si ritiene che la libertà, in tutte le sue forme,  sia un valore fondamentale,  non negoziabile.  Come, altra questione di regola ignorata dai populisti ma discussa su “Linea”,  che lo stato sia una cosa il governo un’altra. Ovviamente parliamo di  uno stato non oppressivo  che  non  va assolutamente visto come terra di conquista, puntando furbamente  sul  voto di scambio e  finanziamenti pubblici a questo e quello per rafforzare il controllo statal-governativo sulla gente. Detto in breve: i governi passano lo stato resta.  Ecco cosa significa  terzietà dello stato. Insomma, amministrazione indipendente dalla politica.
E invece  i populisti (tutti)  vedono nello stato  una specie di randello da usare contro le  opposizioni per relegarle nell’angolo in nome del popolo e così  imbrigliare l’elettorato  ricorrendo alla patriarcale politica del bastone e della carota.  Siamo davanti alla classica e pericolosa confusione totalitaria  tra stato e partito.
Lo stato invece deve essere  terzo e deve avere vita propria, modesta ma vita propria,  non al servizio di questa o quella maggioranza  oppressiva.  Quindi lo stato deve occuparsi, come teorizzava Adam Smith,  di poche cose, (difesa, infrastrutture, lotta al crimine) senza invadere la sfera della libertà individuale. Ad esempio, in  Svezia, dove stato e governo da sempre sono tenuti distinti (anche durante il lungo predominio socialdemocratico), in Svezia dicevamo,   come ha mostrato Carlo Pompei su “Linea”, il governo in qualche misura non ha potuto (e anche voluto) adottare  misure restrittive contro l’epidemia  come in Italia. Risultato?   Senza  distruggere l’economia la Svezia  ha avuto più o meno il nostro stesso numero di morti.   

Per contro, populisti di sinistra e  di destra scorgono nello stato il proseguimento del governo.  L’idea di dittatura  sanitaria, idea costruttivista per eccellenza, fortemente limitatrice della libertà individuale,   in questi giorni occasionalmente  avversata  dai populisti di destra (leghisti, postfascisti e neofascisti), non è altro che il prolungamento di una specie di oppressivo  socialismo di stato, di natura welfarista, che non distingue tra stato e governo:  socialismo che a sinistra è internazionalista a destra nazionalista. 
Per uscire dall' impasse politica,  che vede il populismo statalista dominare  a destra e  sinistra l’agenda politica,  andrebbe  riscoperta   l’ idea liberale (non liberalsocialista o “liberal”, approccio  anch’esso  populista-statalista ). 
Ma dove sono i veri liberali italiani?  A noi piacerebbe, che insieme ad altri profughi della libertà, i  refrattari al welfare  dolciastro dei populisti   si raccogliessero tutti  intorno a “Linea”.  Sarebbe una buona battaglia  contro la dittatura sanitaria, in nome non di una visione altrettanto illiberale come quella dei populisti di destra, che ora protestano, per agguantare il potere, ma in nome della libertà, che è libertà anche di scegliere, paradossalmente, anche  di che morte   morire.  E per fare una scelta del genere ci vuole coraggio.  Sicché non solo si deve essere liberali, ma anche coraggiosi.  Il nostro  perciò, se non fosse ancora chiaro, è  un appello ai liberali coraggiosi. 

Carlo Gambescia