martedì 21 luglio 2020

Unione Europea della Spesa Pubblica
“Ammazza, ammazza, sono tutti d’una  razza”…

Chi ha vinto? Bah…  Diciamo che ha perso l’idea di un’Europa liberale.   Di  un’  Unione capace di  rinunciare al mito della spesa pubblica, difeso dai  “mediterranei” che porta con sé l’altro mito, evocato dai “frugali”, dei bilanci in  ordine.  
Sono cose di cui non si parla molto in giro. Proprio per questo desideriamo offrire  una  chiave di lettura diversa da quella che si può ritrovare  questa mattina  sfogliando  i giornali: divisi su fondi  e bilanci,  ma uniti, come moltissimi politici europei,  dalla comune condivisione della religione della spesa pubblica e del deficit controllato.  
Un punto non deve mai sfuggire:  quando si parla di bilanci in ordine, cosa in sé non sbagliata,  si ragiona sempre in termini di deficit  da gestire in base ai volumi di spesa pubblica da investire nel mitico quadro di salvifiche politiche del disavanzo ragionato: l'uno richiama inevitabilmente l'altra.
A tale proposito negli anni si è generato un gigantesco equivoco collegando erroneamente  le politiche di bilancio   al  “liberismo selvaggio”.  In realtà,  la “frugalità”, come la si  chiama ora,  non è che  il portato ideologico  delle politiche anticicliche di stampo keynesiano o postkeynesiano rivolte ad alternare in termini di stop and go,  spesa pubblica e  tagli:  sono  politiche economiche  di sinistra, altro che scelte liberali, o addirittura liberiste… Di selvaggio c’è solo la spesa pubblica,  che oltre una certa soglia inevitabilmente  implica dei rientri.  Che, rimandano perciò   non alla  visione liberale dell’economia basata sull’autoregolazione del mercato, ma a un approccio di pensante ingerenza pubblica di stampo  liberal-socialista  o  catto-socialista.  Altro che il liberalismo di  Hayek e Mises…
La riprova  di un’ Unione Europea, tuttora prigioniera del welfarismo, è   ben rappresentata  dall’idea, anch’essa condivisa (da  “frugali” come “mediterranei”) del rigorismo fiscale.  Della tassazione come inderogabile strumento di finanziamento della spesa pubblica.  Si noti un fatto:  i membri dell’UE discutono di politiche fiscali e soprattutto  della necessità di uniformare la tassazione europea.  Ma in che chiave? Il lettore se lo è mai chiesto? Semplicissimo: di potenziamento dei controlli sui cittadini, potendo giovarsi dello strumento fiscale unico,  nonché di   crescita  degli  introiti per finanziare in prospettiva  il  fiore all'occhiello di liberali di sinistra, socialisti e verdi: il   welfare europeo.    

Che  poi, Olanda e  Italia, per fare un esempio, si scontrino sulla spartizione del  bottino dei finanziamenti pubblici  non significa che non siano d’accordo, se ci si  passa l’espressione, su come spennare meglio i cittadini europei in nome della  pomposa idea  di  Europa  Sociale. 
Le  “guerre” tra Olanda e Italia, che tanto piacciono ai sovranisti,   sono guerre socialiste… Max  Weber e il protestantesimo non c’entrano nulla. Insomma, se ci si perdona la caduta di stile,  “ammazza, ammazza,  sono  tutti  d’ una razza”…
Quindi, concludendo, chi ha vinto? Nessuno. Di sicuro però  hanno perso  i contribuenti.  Un punto, quest’ultimo,  sul quale di solito  fa  leva la protesta populista e sovranista, a destra come a sinistra.  Che però, attenzione, è altrettanto keynesiana, ma  sul piano nazionale, in microscala. Insomma,   la “zuppa” , nazionalista o meno,  resta  sempre la stessa. 
Servirebbe invece un passo indietro. Quale? Uscire non dall'Europa, ma  dallo stop and go, socialistoide,  spesa pubblica-tagli,  permettendo alle imprese   europee  di tornare ad essere competitive.  Come?   Tasse minime  e  zero spesa sociale.   Altro che transizione ecologica, il nuovo cavallo di battaglia -  attenzione -   condiviso da   “frugali” e “mediterranei”.  Che tutto sono, ripetiamo,  eccetto che liberali…                               


Carlo Gambescia