domenica 28 gennaio 2018

Le fontanelle di Roma a secco
Il “nasone” e i suoi nemici



I romani ne hanno viste di tutti i colori. Sia i  Veri (le famose sette-otto generazioni), ormai pochissimi, sia gli Adottivi, la stragrande maggioranza,  dai calabresi a quelli, più a Est, del Bangladesh.  
Nella Città Eterna,  il vivi e lascia vivere e anche certa strafottenza, si respira nell’aria.  Dopo un po’ che si risiede nella città tra le più antiche e belle dell’ "orbe terracqueo", e sottolineo acqueo,  si diventa romani a tutti gli effetti.   Il Bangra, l’immigrato ormai proverbiale gestore del  negozietto di ortofrutta, non è  strafottente,  come  ritengono i fascio-razzisti,  perché non   italiano, ma  perché  romano.  E quindi se non ti conosce  - come il novanta per certo degli esercenti romani  non “ti caca” (pardon). Se però  "torni"  e frequenti, sono sorrisi, risate e battute, lauree conferite ad honorem (dottore, professore, avvocato). La noncuranza  si tramuta in simpatia e la  strafottenza in divertenti  sfottò sportivi.  Roma è così.    
Di conseguenza ai romani, per venire al punto acqueo  della chiusura dei "nasoni", le famose fontanelle col becco ricurvo,  che, secondo Claudio Rendina, stimato studioso di cose romane,  fanno di Roma  una “rarità mondiale”, della chiusura dicevo,  imposta dai pentecatti,  “non gliene può fregare di meno”…  E questo è il risvolto negativo, o se si vuole eufemizzare "non positivo",  della romanità. Tradotto: il tirare a campare.
Il Comune, via Acea, ha  cominciato  a chiuderle nel luglio scorso,  evocando  le solite pentascemenze  decresciste,  immediatamente  derise  dagli esperti (*),  ma tant’è, ora siamo a fine  gennaio,  e i “nasoni” , non fanno più sentire la loro bella  voce. Non cantano più alla luna, come verseggiava il Poeta.  E quel che è più brutto, neppure al sole e  tra l'indifferenza pressoché  totale dei romani, Veri e Adottivi.  Si tira avanti, tramutando con nonchalance  le defunte colonnine in minicassonetti.    
Sarò pure  uno degli ultimi romantici, ma per me  la "bevuta" alla fontanella,  si componeva di due momenti fondamentali:  il dissertarmi, facendo saltellare  lo schizzo d’acqua da un buchetto sulla canna, tenendomi a distanza per evitare la doccetta, e subito dopo, visto che si tira  su la testa,  lo sguardo al cielo, quell’Azzurro di Roma, che ti incenerisce e intenerisce, celebrato da una  montagna di scrittori. 
Ecco, ogni nasone chiuso è un pezzetto di cielo in meno.  Quindi a differenza dei miei concittadini non riesco a rassegnarmi.  Evidentemente, un Bangra è più romano di me. Meglio così. Tutte le vie continuano a portare a Roma.   

Carlo Gambescia