venerdì 30 aprile 2010

Prima del post di oggi una piccola chiosa a quello di ieri.
Devo dire che la paura fa novanta... Piuttosto che ai lettori e commentatori del blog (che vanno e vengono, certo con qualche eccezione, poche per la verità) mi riferisco agli amici e colleghi. Persone con cui ho collaborato, di cui ho pubblicato libri, cui ho dato consigli, talvolta "lanciato" e aiutato...
Per carità, mai mescolarsi agli appestati che disturbano i "manovratori", prima la carriera... E poi quando "si tiene famiglia"...
Ovviamente, come ho sempre fatto, tirerò dritto.

Carlo Gambescia

.

Personalizzazione della politica 
Di chi è la colpa?



.
Se Atene piange, Sparta non ride. Tradotto: se Berlusconi e Fini litigano, gli altri leader non se la passano meglio: Bersani e Franceschini si guardano di traverso, per non parlare di Veltroni e D’Alema, “fratelli coltelli” per antonomasia; Di Pietro non ha sicuramente nelle grazie De Magistris: Ferrero e Vendola quando si incontrano cambiano strada.
Perché? E’ colpa del tradizionale familismo made in Italy? Di un italiano che da secoli non riesce a superare simpatie e interessi personali: la famigerata malattia del “particulare” evidenziata dal Guicciardini cinque secoli fa?
O è colpa della ideologie? Verdastre entità gelatinose che come i mostri di Lovecraft ricicciano sempre? Ad esempio tra Ferrero e Vendola la sfida ha riguardato anche i testi sacri del comunismo italiano, a partire da dotte citazioni incrociate dai “Quaderni del Carcere” di Antonio Gramsci. Ma anche le diatribe, cavalcate dai diversi leader “carismatici”, sul federalismo e sulle riforme sociali rinviano allo zoccolo duro dell’ideologia. Ma fino a che punto?
Oppure la colpa è del bipolarismo? Del fatto che un sistema organizzato su due grandi raggruppamenti o partiti facilita la radicalizzazione delle posizioni politiche proiettando in primo piano la figura del leader? Qui però va subito sottolineato che quando regnava il pluripartitismo e comandava la Democrazia Cristiana, già esistevano i cosiddetti “ cavalli di razza”, come si li chiamava all’epoca (se ricordiamo bene l’espressione risale a Montanelli): Moro, Fanfani, Andreotti, Donat-Cattin e, discendendo le scale, Forlani, Cossiga, De Mita, eccetera. Personaggi che facevano scintille… Non era forse già quella per-so-na-liz-za-zio-ne della politica? E in piena epoca proporzionalista?
Nulla di tutto ciò. La causa delle liti politiche a piatti in faccia è nella “spettacolarizzazione” della politica. Una questione che travalica il problema, per dirla dottamente, della forma quantitativa della rappresentanza: uno, due, tre, quattro, sei, dieci partiti.
E si tratta di una formula che proviene dall’America, dove un candidato politico - soprattutto dopo la scomparsa di Franklin Delano Roosevelt (1945), il mitizzato quattro volte presidente - si deve vendere come una merce. E dunque va spettacolarizzato, come una bottiglietta di “Coca Cola”. Ovviamente un ruolo essenziale è stato giocato dal crescente strapotere dei media e dei poteri più o meno forti che vi speculano sopra. Con una conseguenza: che la “spettacolarizzazione” ha implicato la “personalizzazione” della politica. Di qui i conflitti personali e il raccogliersi di un partito intorno all’uomo (di volta in volta) “della provvidenza”: il personaggio che tanto piace alle televisioni che a loro volta tanto piacciono alla gente comune… E così il cerchio si chiude. Si pensi a Obama, Sarkozy, Zapatero, addirittura assurto a icona gay, Berlusconi. Ma anche ai loro avversari. Dalla repubblicana Palin, dipinta come una come dal grilletto facile, al professor Prodi in Italia, raffigurato come tranquillo curato di campagna… E da ultimo Fini, dipinto da Eugenio Scalfari, come autentico liberaldemocratico. Proprio Fini l’impomatato ex fascista del Duemila…
Insomma uomini e donne politici finiscono per diventare quel che la “pubblipolitica” (pubblicità + politica) vuole che siano Di qui gli scontri in stile Grande Fratello, come ieri l’altro tra Berlusconi e Fini.
Pertanto, in definitiva, l’eccesso di conflitti personali non è il prodotto di “malattie” ereditarie, dell’ideologia o del bipolarismo. Quindi inutile credere nel ritorno del pluripartisimo: la crescita del numero dei partiti moltiplicherebbe solo la quantità ( e non la qualità) dei partecipanti al “Grande Fratello” della politica italiana.
Si dovrebbe invece fare un passo indietro, rifiutando la “spettacolarizzazione” della politica. Ma come? Se ormai The Show Must Go On ?

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento