giovedì 29 aprile 2010

Il libro della settimana: Esperanza Guillén, Naufragi. Immagini romantiche della disperazione, Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp.112., numerose illustrazioni in bianco e nero nel testo, euro 13,00 (*). 





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Nell’immaginario geopolitico dell’Occidente da Erodoto a Carl Schmitt il “mare” rappresenta il discrimine della politica. O se si vuole il punto focale di rottura tra Occidente e Oriente: da un lato la flotta lanciata alla conquista del mondo conosciuto, cara alla civiltà prima ateniese poi angloamericana; dall’altro gli eserciti di terra, marcianti in ordine chiuso, altrettanto affamati di gloria, dal ferrato esercito persiano ai cingoli dell’armata sovietica.

Ovviamente semplifichiamo. Ma a questo abbiamo pensato leggendo il bel libro di Esperanza Guillén, storica dell’arte: Naufragi. Immagini romantiche della disperazione (Bollati Boringhieri, Torino 2009, pp. 112, euro 13,00). Dove, attraverso un excursus nell’arte pittorica, dall’ultimo quarto del XVIII secolo a tutto il XIX, si indaga il rapporto uomo-mare, attraverso l’esperienza del naufragio, come fatto essenzialmente metaforico e di civiltà.

Scrive la Guillén:


“La tematica del naufragio è perciò così ampia da estendersi alle più diverse crisi dell’esperienza individuale o collettiva. Il fatto è che il mare, per la sua stessa essenza liquida e per il movimento perpetuo delle sue onde, è l’ ‘agente transitivo e mediatore tra il non formale (aria, gas) e il formale (terra, solido) e, analogamente tra la vita e la morte’. Il dinamismo proprio del mare gli conferisce una condizione germinale come origine della vita, ma al contempo è anche simbolo di morte per via della sua potenza distruttrice. E’ come se i contrari si riunissero nella sua immensità: per questo può essere messo in relazione con qualsiasi aspetto dell’esistenza positivo o negativo che sia”.

Perfetto. Naufragi si legge e si apprezza proprio per il taglio geo-culturale, nonché per la bellezza delle tavole pittoriche: da “Tempesta” (1775) di Claude-Joseph Vernet alla “Nave nella tempesta” (1896) di Henri Rousseau, passando per “La zattera della Medusa” (1818-1819) di Théodore Géricault. Per citarne solo alcune tra quelle, tutte molto belle, della ricchissima iconografia.

Dicevamo all’inizio, le acque marine come discrimine politico. Ora, la Guillén, magari andando oltre il suo libro, permette di ricondurre il mare nell’alveo di una simbolica del potere. Dove il dominio sull’elemento finisce per raffigurare il movente del più ampio atteggiarsi di una civiltà. Una in particolare: quella dell’ Estremo Occidente (angloamericano), quale personificazione di una volontà di dominio delle acque, costi quel che costi.

Sarebbe perciò interessante estendere l’analisi di Naufragi all’Oriente, indagando il rapporto tra l’uomo e l’esperienza del naufragio nell’arte, ma non solo… Perché i risultati potrebbero essere completamente diversi. Forse nel senso di maggior rispetto, se non timore, geopolitico nei riguardi della tempestosa forza del mare? Non sappiamo. Ma varrebbe la pena tentare.

E uno spunto sembra offrirlo la stessa Guillén, dove nota che

“nel corso del XX secolo e gli inizi del successivo, l’emigrazione ha trasformato la morte per mare in uno dei più tragici fenomeni delle storia contemporanea (…). Perché la disperazione che costringe questa gente ad abbandonare il proprio paese supera l’ansia di avventura e soprattutto, e qui sta la differenza maggiore, perché noi viviamo, dall’altra parte del mare ci sentiamo colpevoli per la loro sorte”.

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Insomma, se l’Occidente sfidava il mare per spirito di avventura, l’Oriente, sembra oggi sfidarlo per disperazione. Non più bellicosi eserciti, ma per dirla una tantum con Serge Latouche, soltanto poveri “naufraghi dello sviluppo” .

Carlo Gambescia 


(*)La recensione qui pubblicata (con un altro lungo articolo su Europa e Turchia che apparirà altrove) doveva uscire su "Imperi" rivista diretta da Aldo Di Lello (stretto collaboratore di Gianfranco Fini). Il quale, però, dopo aver letto A destra per caso, libro scritto con Nicola Vacca, mi ha cassato da "Imperi", ritenendo "non compatibile il contenuto dell' opera con la partecipazione alla rivista da lui diretta". In una parola: epurato.
Fini parla - come ieri sera a "Porta a Porta" - di un Pdl dove sia finalmente "possibile dissentire senza essere bollato di tradimento"... E poi permette che i suoi accoliti si comportino come il Cavaliere... E questi sarebbero i liberaldemocratici che chiedono a Berlusconi di essere rispettati... Povera Italia!     (Carlo Gambescia)


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