giovedì 8 aprile 2010

Il libro della settimana: Valeria Ottonelli (a cura di) Leggere Rawls, il Mulino 2010, pp. 298, euro 21,00. 

//www.mulino.it/isbn/9788815134240
I libri di John Rawls non appartengono a quella letteratura filosoficamente gigiona, che mescola Marx e Tarantino, oggi così di moda: alla Žižek per capirsi.
Rawls, riservatissimo bramino harvardiano, morto ottantenne nel 2002, si è occupato dell’uomo come è non come dovrebbe essere. E sempre dal punto vista della grande filosofia politica, quella di Kant, Rousseau, Locke. Interessandosi alle questioni che tanto hanno appassionato il liberalismo moderno: razionalismo etico, contrattualismo, utilitarismo. Da lui però saggiamente rilette, pur partendo dalla stratosfera filosofica, alla luce del dibattito politico contemporaneo. Infatti, nella sua opera, da Una teoria della giustizia (1971) a Il diritto dei popoli (1999), sono sempre discusse questioni concrete come il welfare, la disobbedienza civile, la guerra e la pace.
Sotto questo aspetto chiunque desideri conoscerlo o approfondirlo non può farsi sfuggire l’ottima guida a cura di Valeria Ottonelli (nella foto),  Leggere Rawls (il Mulino 2010, pp. 298. euro 21,00). Dell’autrice, docente di Filosofia Politica presso l’Università di Genova, va anche ricordato un ottimo studio su Hayek.
Il volume, articolato in quattro parti (con ricca bibliografia), si presenta come un’antologia commentata del pensiero rawlsiano. Rivolta a evidenziarne il liberalismo socialmente possibile, imperniato sull’idea di giustizia, rispetto al liberalismo impossibile o mercatista di pensatori come Hayek.

Infatti, come nota la Ottonelli, il principale sforzo di Rawls è dimostrare non tanto “la necessità o l’ineluttabilità dei principi di giustizia proposti” quanto “che è possibile concepire una società giusta” . E sotto questo aspetto per lo studioso americano “la possibilità di una società giusta significa innanzitutto immaginare una società in cui le persone sono effettivamente in grado di comportarsi secondo giustizia, a dispetto delle prove in contrario finora offerte dalla storia dell’umanità” .
Rawls liberale di sinistra, a differenza di Hayek, liberale abbastanza spostato a destra, crede nella superiorità dell’immaginazione sociale sul calcolo individuale. Mentre Hayek subordina l’immaginazione al calcolo: ciò che non è giusto per mercato, non può essere giusto neppure per il resto della società…
Per Rawls, la creatività non è patrimonio esclusivo dell’agire economico ma appartiene all’uomo in quanto tale. Il quale può svilupparla se socialmente coadiuvato. Di qui il diverso atteggiamento dei due pensatori verso il welfare state: per Rawls è un' occasione di progresso morale e giustizia sociale; per Hayek un ostacolo al libero fluire della mano invisibile del mercato.
Ma anche Rawls ha i suoi limiti. Soprattutto quando si occupa di politica internazionale. Ad esempio ne Il diritto dei popoli costruisce una rigida griglia teorica. Dove, in base all’adesione o meno ai valori liberali dell’Occidente, i popoli sono divisi in “ragionevolmente liberali”; “accettabili” ; “oppressi da difficili condizioni socioeconomiche”; “assolutismi benevoli", e infine “Stati fuorilegge”.
Questi ultimi, a suo avviso, andrebbero assolutamente combattuti. Il che significa che Rawls crede nell’idea di guerra giusta. E, cosa non del tutto “morale”, nella necessità dell’Occidente, e in particolare degli Stati Uniti, non solo di difendere ma anche di imporre, dove necessario, il proprio modello di vita.
Va tuttavia notato che Rawls non è un neoconservatore o peggio un guerrafondaio. Mostra, infatti, di essere contrario al coinvolgimento militare delle popolazioni civili, tranne che nelle “situazioni di “emergenza suprema”. Certo, si tratta di un concetto labile, soprattutto in caso di decisioni da prendere sotto improvviso stress bellico…Però Rawls condanna i bombardamenti alleati di Dresda e il lancio delle atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki a guerra ormai finita.
Il che è condivisibile. E torna in suo onore.
Carlo Gambescia

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