giovedì 24 novembre 2022

La libertà di sbagliare

 


Quante volte in questi mesi ci siamo chiesti come si possa essere filorussi. Come si può giustificare l’invasione russa dell’Ucraina? E soprattutto il tentativo in corso di radere al suolo il suo apparato energetico? Costringendo le popolazioni ucraine a vivere al buio al freddo in un clima invernale che non perdona?

“Malvagità mongolica” si sarebbe detto un tempo. Quella del nomade che colpisce senza pietà le popolazioni sedentarie, civili, non tanto per costringerle all’obbedienza, quanto per saccheggiare, distruggere e poi fuggire. E qui si pensi alle tristi condizioni della città ucraine, in macerie, abbandonate dai russi in ritirata.

Pertanto dichiarare lo stato russo terrorista, come nella risoluzione di ieri del Parlamento europeo, è addirittura poco. Si dovrebbe parlare di stato, società o meglio ancora orda, clan, forse tribù, barbara, primitiva: di un mondo arretrato e crudele.

Un aggregato sociale, per così dire, che però – ecco la differenza con la “malvagità mongolica” – viene dopo le rivoluzioni le moderne. Quindi, in qualche modo, siamo davanti a una ferocia consapevole della propria natura barbara dinanzi allo specchio della modernità.

Va però anche detto che esiste una differenza. I khan mongoli, dopo una prima fase distruttiva, volta a creare solo pascoli, capirono invece l’importanza economica dell’agricoltura, ossia di coltivare, anche in senso lato, la civiltà dei paesi conquistati, come del resto già notarono sociologi come Oppenheimer e storici come Grousset. La Russia invece sembra non volersi fermare più.

Il mongolo, per contro, una volta a contatto, con le civiltà islamica e cinese, ne capì la superiorità: di qui i patteggiamenti sociali e politici che in qualche misura, favorirono l’incivilimento e l’ assorbimento dei mongoli.

La Russia invece non sembra capire. E questo accade nell’universo, moderno e civile, delle Carte Onu, dei consessi internazionali, di un mercato mondiale aperto. Non nel Duecento, quando la modernizzazione economica e culturale muoveva in Occidente i suoi primi timidi passi al cospetto delle allora raffinate civiltà islamica e cinese.

Ebbene, a proposito di noi italiani, tralasciando gli astenuti (tra questi la delegazione del Movimento Cinque Stelle…), ieri in quattro hanno votato contro la risoluzione: la sovranista indipendente Francesca Donato e tre rappresentati di Socialismo e Democrazia, Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino e Massimiliano Smeriglio. Quattro persone normali, senza baffi spioventi e gambe arcuate da uomo che cavalca nelle steppe. Parliamo di persone dall’ aspetto gradevole, civili, con studi e titoli, tutte impegnate onorevolmente nel sociale. Si pensi al grande lavoro del dottor Bartolo a Lampedusa. Eppure filorussi. Dalla parte dei nuovi barbari che non disdegnano la steppa, magari oggi a bordo di un Suv. Piccola concessione strumentale alla modernità come i missili lanciati su Kiev.

Come si può essere dalla parte dei russi? Difficile dire.

Però, ecco, vorremo che i “magnifici quattro”, se ci si passa l’espressione scherzosa (forse fuori luogo), riflettessero sul fatto che in Russia, a contenuti rovesciati, sarebbero già in carcere.

La grande differenza tra la civiltà liberale e la barbarie russa è nella difesa delle minoranze e nella libera espressione del pensiero. Ovviamente, nessuno è perfetto, il potere, soprattutto pubblico, tende sempre, per forza propria, a ridurre gli spazi di libertà, anche in Europa e nell’intero Occidente.

Però, una cosa è godere degli strumenti istituzionali (parlamenti e mercati) per combattere gli abusi, un’ altra è subire le prepotenze del potere nudo, barbaro e incivile.

Pertanto la nostra libertà, diciamo quella italiana, spesso sottovalutata se non vilipesa, come tutte le cose scontate, ha quattro buoni ragioni: quelle sbagliate di Francesca Donato, Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino e Massimiliano Smeriglio.

In sintesi, ciò che ci rendi liberi, rispetto ai barbari russi, è la libertà di sbagliare, sancita perfino per legge. Non è magnifico?

Ecco, in Ucraina è in gioco tutto questo.

Carlo Gambescia

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