domenica 17 maggio 2020

FCA e sindacati  in perfetto accordo sul prestito statale  
Il patto corporativo

Al “patto corporativo” tra gruppi di pressione abbiamo dedicato alcune pagine finali di Passeggiare tra le rovine,  dimostrando in un' ottica comparativa e scientifica che i nostri sistemi sociale e politici  rischiano di morire di spesa pubblica contrattata (e dilapidata) all’arma bianca. 
Un esempio?  La richiesta di una garanzia statale da parte di  FCA  appoggiata dai sindacati sul prestito da 6.3 miliardi…  FCA ha sede all’estero, come è giusto che sia,  scelta di libertà  per ragioni di tasse più basse,  che chi scrive  condivide.   
Quel che invece non  accettiamo è il furbo ripudio della libertà economica per contrattare un prestito con lo stato italiano. Un liberalismo da straccioni…  
Questa gente  rappresenta veramente la rovina del libero mercato, ridotto a opzione, ovviamente se e quando conviene…  Come mostra il perfetto accordo tra FCA e sindacati, un gruppo di  pressione, quest’ultimo,  notoriamente autarchico, che infatti sembra  credere o meglio vuole credere alla storiella che il prestito servirà a difendere il lavoro italiano... Roba da sindacato fascista...    
Se lo stato non regalasse soldi a nessuno,  queste cose non accadrebbero.  Come pure  ne saremmo fuori  se il prelievo fiscale sulle imprese  fosse  più basso in Italia.  Cosa che purtroppo non è.
Già sentiamo la lagna:  quale sarebbe la sorte dei lavoratori, se lo stato rifiutasse l'aiutino? E giù lacrime, con un occhio solo...  
La verità è  che si tratta di  un  duplice  ricatto:  dell'imprenditore  furbastro, liberale a corrente alternata, che vuole  intascare  i soldi pubblici,  e del sindacato parassita, che non si preoccupa  dei tassi stellari, non competitivi,  di un   costo del lavoro al metadone.  Senza dimenticare  gli   effetti  di traslazione  finanziaria  del prestito sul debito pubblico, che andrà a ricadere, in termini di straripante pressione fiscale,  sulle spalle dei cittadini, tutti i cittadini...

Ripetiamo: si chiama patto corporativo, di cui lo stato è garante perché tira fuori il soldi, togliendoli però dalle tasche di tutti cittadini. Insomma, alcuni, i furbi,  si avvantaggiano a spese di altri, gli stupidi...
Il che può  funzionare, seppure in modo costoso, finché il Pil  cresce. Appena però  la produzione cala, e la torta si fa più piccola, il sistema non funziona più: perché le fette si fanno sempre più sottili.  
Eppure, come sta accadendo, i gruppi di pressione, fingendo di non capire,  non  rinunciano al dessert (a dire il vero, neppure alle altre portate): costi quel che costi. Sicché il patto corporativo  si trasforma in una specie di nodo scorsoio che lentamente  toglie il respiro alla società  fino a farla  morire per mancanza d’aria…
C’è un rimedio? Sì,  libera concorrenza  e lotta legislativa agli oligopoli  non necessari,  perché  a danno dei consumatori.  Ad esempio,  il costo delle  autovetture FCA in Italia (ma anche in Europa) non è concorrenziale.   
O comunque sia,  stop ai  finanziamenti pubblici di qualsiasi genere: imprese e sindacati si rimettano al giudizio dei mercati.  Già però sentiamo i “sindacalisti”: gli eventuali licenziamenti? Che si fa?  
Un Pil  crescente  produce  sempre nuovi posti di lavoro.  E di conseguenza in un sistema non governato da patti corporativi, trovare lavoro diventa la cosa più facile del mondo...
Pecchiamo di ottimismo?   D’accordo.  Allora  non restano che due strade: patto corporativo fino all’autodistruzione o trasformazione del patto corporativo in corporativismo fascista vero e proprio. Però anch’esso,  come prova la storia, conduce alla rovina.   
Certo, dimenticavamo, resta l’ipotesi del glorioso cammino verso il luminoso socialismo, reale o meno. Auguri… 

Carlo Gambescia