sabato 2 maggio 2020

Il nuovo mantra
"Imparare a convivere con il virus"

E' nota a storici, antropologi e sociologi la grandissima  capacità di adattamento dell’uomo. Che ne fanno un specie unica, anche perché all’adattamento, corrisponde una capacità di trasformazione dell’ambiente, almeno sul nostro pianeta,  senza eguali.
A proposito di virus, tutta la letteratura storica prova che l’uomo  è  il più  forte. Ha sempre battuto,  magari con costi alti, soprattutto  nella pre-modernità,  le epidemie.  Inoltre, stando  agli scienziati,   l’uomo di norma convive  con numerosi virus, buoni e cattivi.  Questi ultimi talvolta si diffondono, causando epidemie periodiche. Patologie collettive, che però, secondo gli studiosi, aiutano  l’uomo a sviluppare   la cosiddetta immunità di gregge, quindi ad adattarsi  biologicamente al virus, rendendolo inoffensivo o quasi. Il che spiega la  straordinaria  forza di adattamento dell'uomo.
Per contro, il concetto di pandemia appartiene, non alla storia,  ma  alla statistica sanitaria. Un’autentica sovrapposizione ideologica esito di un  approccio burocratico e welfarista alle  epidemie e perfino alla storia, che viene addirittura riscritta  orwellianamente (si veda ad esempio, basta andare su Wiki, la classificazione OMS, storicamente retroattiva) . 
Ciò significa che il concetto di “adattamento al virus” nelle nostre società è totalmente cambiato: non rimanda più  allo sviluppo  spontaneo, attraverso la mano invisibile della biologia, dell’immunità di gregge, ma a quell’ “imparare a convivere con il virus”, che rinvia  al   mantra governativo-mediatico di questi giorni. Mantra, nel senso di una formula verbale veicolata  dalle istituzioni come strumento di controllo e conformità sociale.

Si tratta, riassumendo, di un adattamento imposto dalla visione  welfarista, che come  noto rinvia a un sistema  falansteriano  rivolto alla miracolistica  protezione del cittadino dalla culla alla tomba.  Di uno stato paternalista che pretende,  presuntuosamente, di saper quel che sia bene per ogni singolo cittadino. 
Adattamento a che cosa? Adattamento alle misure varate dal potere pubblico. E in che modo? Obbedendo.  Siamo davanti a uno schema di comportamento politico, da parte delle istituzioni, apertamente  in contrasto con il naturale sviluppo dell’immunità  di gregge: dal momento che ne ritarda i progressi, con misure di  "segregazione", che sulla carta dovrebbero invece impedire la diffusione del virus.
L’uso del condizionale è d’obbligo, perché i virologi sostengono che i virus avendo  ciclo proprio, di circa sessanta-settanta giorni, seguono un loro corso, a prescindere dall’intervento o meno dell’uomo.
Ovviamente, quanto più una società è imbevuta di principi e pratiche welfariste, tanto più le misure segregative saranno dure. Poiché il welfare state  si fa punto d’onore  di proteggere il cittadino. Che poi, come insegnano sociologia e storia, il welfarismo sia costoso, impraticabile e limitativo della libertà individuale, al “welfarista tipo”  non interessa…
Il welfarismo, come ogni ideologia totalitaria, impregnata di fumo teorico, non presta alcuna attenzione ai fatti. Anzi li irride. Il che è un altro aspetto pericoloso: quello di un  welfarismo che si ritiene infallibile.  Un infallibilismo che, come sta accadendo in questi giorni, una volta sommatosi all’infallibilismo di certa scienza burocratizzata, tipo OMS e istituzioni simili a livello nazionale,  si trasforma in una concezione ultratotalitaria che non ammette  critiche di nessun tipo, condannando sessanta milioni di persone agli arresti domiciliari. Ovviamente, per il loro bene...

Concludendo, quanto più si sosterrà che “dovremo imparare a convivere con il virus”, introducendo regole cervellotiche e ridicole,  tanto più  si prolungherà il cammino  verso  l’immunità di gregge.  
Purtroppo, siamo davanti a un classico caso  di eterogenesi dei fini. Detto altrimenti, di effetti perversi delle azioni sociali. Insomma,  si vuole il bene, si ottiene il male.

Carlo Gambescia